Calcio Sfogliato: intervista a Gino Franchetti, autore di “Il Calciatore Stanco”

Gino Franchetti (7 marzo 1943), è un giornalista sportivo che ha lavorato per La Gazzetta dello Sport, prima di assumere le funzioni (1995-1999) di responsabile delle relazioni esterne e dell’attività editoriale del F.C. Internazionale (e direttore del mensile del club). Tante le collaborazioni nel corso degli anni:  a Stadio (Capo servizio e inviato speciale), al Giorno (come vicecaporedattore) e nuovamente alla Gazzetta dello Sport per poi concludere la carriera  (1999-2007) come inviato alle pagine sportive del Corriere della Sera. Nel 2014 ha pubblicato “Il Calciatore Stanco” per le Edizioni inCONTROPIEDE. Franchetti racconta la sua opera a tuttocalcioestero.it per la rubrica “Il Calcio Sfogliato”, una lucida riflessione, una metafora che racconta il nostro calcio.

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Calciatore Stanco è la storia romanzata di un’artista del pallone, tale Giorgio, di ruolo trequartista. Il romanzo si alterna fra i pensieri del giocatore alla soglia dei sessant’anni, e i fantasmi della sua vita: dalla scuola calcio alla Juventus, nella quale ha militato fra gli anni ’70 e ’80 fino al termine della sua carriera. Come nasce l’idea di questo lavoro originale? A memoria non mi vengono in mente altri romanzi calcistici di questo tipo.

L’idea mi è venuta  leggendo un altro libro che separava il pensiero dall’azione, mi è piaciuto adottare questa idea anche per un giocatore di calcio. Li sentiamo spesso parlare, ma il più delle volte dicono cose scontate, quelle cose che “possono” dire e non quello che sentono veramente. Io avendo vissuto moltissimi anni nell’ambiente del calcio e conosciuto molti giocatori, ho provato a ricostruire, oltre le vicende possibili, , anche i loro pensieri intimi che potessero andare oltre l’apparenza esteriore.

Il libro è dedicato a Giorgio Ghezzi, ex portiere di Inter e Milan negli anni ’60. Un fantasista fra i pali chiamato il “kamikaze”. Cosa ti ha lasciato questa figura?

Credo che ci siano stati anche altri portieri che hanno avuto il coraggio e il tempismo di Giorgio Ghezzi, ma lui forse è stato il primo a interpretare il ruolo del portiere come collettivo fra gli undici in campo. Non stava soltanto fra i pali ad aspettare il tiro, si buttava nella mischia, con coraggio sui piedi dell’avversario prima che avesse il tempo di tirare. L’ho conosciuto quando era arrivato il Milan, erano i primi anni che seguivo il calcio per la Gazzetta dello Sport. Facevo dei servizi giornalieri ad Appiano Gentile per l’Inter o a Milanello per il Milan, in lui ho trovato qualcosa di diverso, in Ghezzi c’era qualcosa di particolare. Oltre a fare il calciatore curava molto la propria vita e si permise di acquistare un albergo sulla spiaggia di Cesenatico con annessa discoteca, nella quale ho avuto occasione di recarmi con la mia allora fidanzata. Ho conosciuto bene Ghezzi, e mi è dispiaciuto, quando troppo presto se ne è andato

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Il tuo libro è una chiara critica al nostro calcio che si sta impoverendo sempre di più, uno dei personaggi vedendo giocare Giorgio dice: “Siamo una squadra di provincia non possiamo permetterci di pensare al bel gioco”. E’ questa la vera natura della nostra Serie A? Una realtà nella quale la fantasia è stata scardinata in favore di un gioco grezzo che possa permettere al club di rimanere ancorato a una speranza di salvezza?

Forse a pensarci bene c’è una controtendenza nel vedere le squadre piccole fare del bel gioco prendendosi tutti i rischi che ne derivano. Purtroppo il bel gioco lo fanno sempre meno le squadre grandi. Un’omologazione dei ruoli è andata a scapito della nascita del genietto da centrocampo in su.

“Il calciatore non è il robot che molti immaginano” riflette Giorgio “non è una macchina di passaggi dribling e tiri in porta”. Per usare un’espressione arpiniana: “I miracoli che hai dentro non vengono fuori a comando”. Eppure  pubblico e giornalisti hannodelle aspettative ben differenti, quella di trovare un idolo nel quale riconoscersi per poi gettare giù dal piedistallo una volta che il suo talento si spegnerà.

Forse c’è troppa fretta di catalogare ed etichettare i giocatori. Una volta gli allenatori dicevano che i giovani vanno inseriti gradualmente senza dargli subito troppa importanza e responsabilità con il rischio di bruciarli e portarli a fallire… non faccio nomi ma si capisce a chi mi riferisco. Devono essere inseriti per gradi all’interno di un meccanismo che funziona, se si pretende che un giovane calciatore faccia il suo ingresso in squadra e faccia da guida anche ai membri più anziani, magari meno bravi, è poi difficile che il meccanismo funzioni dato che viene a mancare il rapporto fra esperienza ed estro.
Dico purtroppo, perché ho lavorato all’Inter… ricordo bene quando ingaggiarono Pirlo, che già dall’inizio mostrava quali potevano essere le sue potenzialità, ma poco dopo lo cedette al Milan perché non teneva un comportamento da professionista, non gli diedero il tempo di imparare a ragionare sia dentro che fuori dal rettangolo di gioco. Poi tutti sappiamo cosa è stato Pirlo per il Milan, ma si possono fare tantissimi altri esempi di giocatori che mostrano un grande avvenire, ma se dopo un solo anno non sono stati in grado di mostrare il loro potenziale vengono ceduti via.

Non riservi certo delle belle parole per i nostri settori giovanili. I ragazzini sono costantemente sotto pressione, sin dalla tenera età si guarda al risultato e non alla formazione dell’individuo. Una mentalità completamente opposta a quella che possiamo riscontrare all’estero. E’ questa una delle ragioni fondamentali della crisi di talenti in Italia? Mi ha fatto riflettere molto anche la figura del padre di Giorgio, ossessivo nei confronti del talento del figlio, figure che ho riscontrato nei tre anni in cui ho allenato i settori giovanili del mio paese.

Per la ricerca di nomi da abbonamenti si sacrifica enormemente il vivaio. Sempre tornando ai tempi in cui iniziavo ad addentrarmi nel mondo del giornalismo; i settori giovanili del Milan erano composti prevalentemente da Lombardi, questo significa che provenivano dalle scuole calcio della regione o da quelle rossonere, oggi nessuno parla più il dialetto milanese nelle giovanili del Milan. Mio figlio ha giocato per molti anni nelle giovanili, mentre mio nipote sono sue anni che pratica rugby. Le differenze sono evidenti, vi è un fattore interno e uno esterno che contano: il Rugby inizia a fare campionati molto più tardi del calcio, i bambini nel calcio sono soggetti a competizioni sin dalla categoria Pulcini dove gli  viene già mostrata una classifica. Il rugby inoltre ha poche squadre, è una famiglia e non un’arena di combattimento fra avversari e questo, è il danno che il calcio soffre.

Nel libro vengono ricostruite molte vicende che hanno colpito il nostro calcio, come lo scandalo scommesse all’inizio degli anni ’80. Eppure questi fanno continuano a ripetersi senza sosta, ogni anno si scopre del marcio. Emblematico uno degli ultimi passaggi del libro: “Dove è il futuro di questo sport? E’ ancora uno sport?”

Quello che succede è incredibile, sembra il doping nel ciclismo, gli errori si ripetono e vengono costantemente alla luce. E’ come quel che vediamo nel nostro paese nel campo della politica e degli affari. Sembra che il marcio sia inarrestabile che convinca comunque a superare la linea del legale anche se tutto si interromperà nella vergogna.
Quando girano troppo soldi comandano i soldi, oramai lo sport lo si vede raramente. Prima la squadra era la bandiera della città, ora sono delle società di finanziamento i cui presidenti vengono da tutt’altra parte del mondo o da parti estremamente differenti dell’Italia. Temo veramente che venga a mancare l’entusiasmo dei tifosi in quanto è molto difficile riconoscersi in una squadra. Quello che non siamo più in grado di creare potrà nascere altrove dove c’è più semplicità e amore per il gioco.

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Sono nato a Urbino il 2 maggio 1991. Nel luglio 2015 ho conseguito la laurea in Chimica e tecnologie farmaceutiche. Mi occupo di giornalismo sportivo con un'attenzione particolare al lato economico e allo sviluppo del calcio in Cina, che approfondisco nel mio Blog Calcio Cina. Nel febbraio 2016 ho pubblicato il mio primo libro: IL SOGNO CINESE, STORIA ED ECONOMIA DEL CALCIO IN CINA, il primo volume, perlomeno in Europa a trattare questo argomento. Scrivo anche di saggistica (sovversiva) per kultural.eu

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