Nel soleggiato pomeriggio di sabato 11 maggio mi reco al Estadio do Bessa per assistere alla penultima giornata della Primeira Liga portoghese.
Lo stadio si trova lungo la Avenida da Boavista, una lunga strada di circa 6 km che da Porto conduce al mare di Matosinhos. Fu costruito ed inaugurato nel 2003, conta 30.000 posti e nella sua conformazione è praticamente identico al Luigi Ferraris di Genova.
L’arrivo della 4° in classifica, il Braga, ha portato in dote un pubblico di poco inferiore alle 20 mila presenze sebbene il match non sia rilevante per nessuna delle due compagini: il Boavista è già salvo e il Braga terminerà il campionato nelle medesima posizione qualunque siano i risultati che riporterà in queste due ultime giornate.
Ad aspettarmi davanti all’entrata della Bancada Nascente ci sta Bruno, un fedelissimo della seconda squadra di Porto. Con sé ha il suo cimelio, una sciarpa dell’annata 2001-02, l’anno successivo alla vittoria dell’unico scudetto del Boavista. Sulla sciarpa ci sono gli stemmi del Manchester United, del Bayern Monaco e del Nantes. “Questo è il secondo girone, tutte le squadre erano state campioni nazionali. Il primo gruppo lo avevamo superato invece; con noi c’erano Liverpool, Borussia Dortmund e Dinamo Kiev. In questo secondo gruppo arrivammo 3° davanti al Nantes senza riuscire ad accedere ai quarti di finale”. Lui è nato e cresciuto ad un paio di chilometri da qui, in Rua da Boavista situata dalla parte opposta sulla perpendicolare che dall’Avenida da Boavista porta alla grande Rotunda da Boavista.
In sua compagnia ci sta un chiacchierone italiano anch’egli fanatico di calcio: nei suoi anni migliori aveva sognato di essere come Wesley Sneijder e in seconda analisi come Ricky Alvarez; nondimeno i suoi amici hanno sempre visto più analogie con De Zerbi e/o Antonio Cassano. Vai a sapere perché!?
Mentre siamo in fila per entrare Bruno ci dice: “Oggi non sarebbe male vincere contro la 4°. Noi siamo l’unico club ad aver vinto un titolo oltre alle tre grandi Porto, Benfica e Sporting”.
(In realtà ce ne sarebbe un’altra, il Belenenses; la squadra di Belem, un quartiere di navigatori a Lisbona, vinse il titolo nel 1946, ndr).
Appena arrivati in curva i cori ci contagiano: Que belo é quando saio de casa em direcção ao estadio para ver o Boavista Boavista Boavista ossia Che bello è, quando esco di casa, in direzione dello stadio per vedere il Boavista Boavista Boavista.
Senza pressioni di sorta il bel calcio, generoso e gioviale, si prostra al pubblico. Alla fine del primo tempo siamo già sul 3-2. Si assiste a qualche azione manovrata ed un sano agonismo sostenuto dai canti incessanti: Sinto mesmo o nosso amor por esta camisola, força mágico Boavista, não te deixaremos mais ossia Sento proprio il nostro amore per questa maglia, forza magico Boavista, non ti lasceremo mai.
Durante l’intervallo faccio un giro per la curva ed incontro Antonio, un irriducibile delle Pantere Nere, il gruppo ultras fondato nel 1984 e che proprio lo scorso 7 maggio ha festeggiato 35 anni. Antonio ha una pantera nera tatuata sul braccio; io la guardo e lui mi dice che il simbolo è dovuto ad una bizzarra ricorrenza dei tifosi negli anni 80′. In curva si aveva l’abitudine di portare una mega pupazzo della Pantera Rosa che spesso e volentieri veniva lanciato oltre la barriera divisoria tra la curva e il campo. “Non siamo uno dei pochi club che abbiamo regalato il simbolo alla squadra e non viceversa. I Super Dragões si chiamano così perché il simbolo della squadra è storicamente un drago e non il contrario”.
Il secondo tempo inizia sotto i migliori auspici: il Boavista infila un’altra rete su punizione e in curva si festeggia come d’abitudine, con spintoni mentre qualche buontempone carica nella mischia e qualcun altro a dispensa buffetti a tradimento. Finito il parapiglia goliardico si riprende a cantare a squarcia gola: Todos os domingos largo tudo para te ver, e canto da bancada, Boavista até morrer. Allez Allez Allez, Boavista até morrer ossia Tutte le domeniche abbandono tutto per vederti e canto dalla curva, Boavista fino alla morte. Alé Alé, Alé Aléee Boavista fino alla morte.
Tra un salto e l’altro arriva anche Hugo, euforico per la bella prestazione. Lui ha ereditato la passione per i colori a scacchi bianconeri dal nonno e non li ha più lasciati.
Qualche minuto prima della fine, siamo all’85’ circa, il presidente sale sul ponteggio del lanciacori per un saluto alla curva, il tempo di lanciarne un altro: Allez allez Boavista allez, onde tu estiveres eu também estou, onde tu fores eu também vou, com o Boavista no coração, a volta ao mundo podes crer eu dou ossia Alé Alé Boavista, ovunque sarai io ci sarò, dovunque andrai, io andrò, con il Boavista nel cuore, il giro del mondo stanne certo io farò.
Normalemente, dopo la partita, quando i giocatori vengono a salutare e ringraziare la curva, si canta sempre il pezzo preferito da Hugo: Muitos não vao entender esta vida que eu escolhi, eu não consigo explicar isto que eu sinto por ti em mais um fim de semana, seja no estádio onde for, estarei sempre presente para defender o meu grande amor ossia Molti non la capiranno, questa vita che ho scelto, non riesco a spiegare quello che io sento per te nell’ennesimo fine settimana, in qualunque stadio sia, sarò sempre presente per difendere il mio grande amore.
Oggi invece non ce n’è il tempo poiché si tratta dell’ultima partita casalinga: l’invasione di campo pacifica contribuisce a rinverdire il clima di festa che si è respirato durante tutta la partita. Clicca qui per la cronaca.
Il Boavista si gode la meritata salvezza, in spensieratezza e con leggerezza pensa alla prossima stagione in attesa di concludere l’attuale, col Marítimo, domenica prossima sulla remota isola di Madeira.