Il corpo umano è una macchina complessa che esplora i suoi limiti congiuntamente al progresso tecnologico e dei metodi di recupero.
La carriera di un giocatore di calcio difficilmente arriva ai quarant’anni specialmente se si vuole garantire un certo livello di prestazioni. Ci sono poi eccezioni: giocatori che decidono di smettere anzitempo per esigenze differenti, citandone alcuni tra i più famosi, Platini lasciò il calcio a soli 32 anni perché non voleva che gli si dicesse che fosse troppo vecchio per il calcio professionistico. Per le due ultime icone del calcio italiano, Del Piero e Totti avvenne invece il contrario.
Ci sono poi casi come quello di Hidetoshi Nakata, icona del sol levante, che smise a soli 29 anni per intraprendere un giro del mondo. E quello di Pablo Daniel Osvaldo, di cui ve ne abbiamo già parlato svariato tempo fa qui, che smette a 30 anni per realizzarsi come rock star prima che sia troppo tardi.
Il tempo è inesorabile per tutti, il MEMENTO MORI é sempre lì che incombe. È una DURA LEX, SED LEX. Anche per un santone come Ibra, da sempre insofferente alle regole troppo rigide. Gli atleti di primissimo livello non riescono ad accettare il dogma del decadimento, del resto non sarebbero stati tali se non avessero coltivato una costante insoddisfazione che li sprona a mettersi continuamente in discussione.
Tuttavia Ibra non molla, anno dopo anno lima la sua percentuale di massa grassa residua, lima il suo peso senza perdere forza né rapidità. La velocità pura forse cala con il passare degli anni, ma lui è un leone e vi supplisce con forza ed esperienza. Pratica arti marziali per continuare a superare i suoi limiti, proseguendo nella sua crescita spirituale oltre che mentale.
Poche ripetizioni diluite in più serie e con un recupero più ampio, se eseguite con carico ideale, favoriscono l’increzione di testosterone: si tratta dell’ormone sessuale maschile legato alla forza esplosiva e alla velocità. Sono certo che per Ibra questo è un mantra.
A 39 anni suonati (è nato il 3 ottobre 1981) è pronto per l’ennesima sfida della sua carriera. Gli addetti ai lavori nutrono dei dubbi è i suoi fan godono perché le critiche non fanno altro che accendere il propellente nel cuore del loro idolo: più lo si critica, più lo si motiva.
Alcune regole di Ibra suggeriscono i segreti per giovarsi di una longevità notevole grazie alla quale è diventato il pilastro del Milan di Pioli e non di una squadra qualunque del campionato cinese, indiano o australiano.
La prima regola di Ibra è BE CONFIDENT. Di sicurezza in sé stesso Zlatan ne ha sempre avuta tanta: è cresciuto in un paese dove lui è sempre stato l’irregolare. Non essendo il biondo con il tipico cognome Anderson o Svensson ha sempre dovuto fare di più per conquistarsi il suo spazio. La lotta ha letteralmente forgiato la sua personalità e il suo modo di stare in campo. Risulta un modo di essere che è parte di lui e dalla quale scaturisce la seconda regola: GROW FROM DIFFICULTIES. Da bambino non navigava nell’oro e le difficoltà da superare erano numerose, dalla mancanza di cibo ai trasporti per andare all’allenamento. Più di recente, il terribile infortunio arrivatogli in un Manchester UTD-Anderlecht di Europa League lo costrinse ad un grande recupero. Era il 20 aprile 2017 e un appoggio errato sulla gamba destra gli causò la rottura del legamento crociato anteriore e posteriore. Tutti o quasi adombrarono, anche con una certa facilità, la fine della carriera, non Ibra che quel momento decise: “Sarò io a dire quando terminare la mia carriera”. Si arriva così alla regola numero tre: WORK HARD. E aggiungiamo ovviamente. Per essere un top player non esistono altre opzioni, in caso contrario si rischia di essere uno dei tanti talenti puri, ancorché apprezzati, un’eterna promessa senza titoli né riconoscimenti ufficiali.
Essere il migliore vuol dire distinguersi dalla massa: DON’T COMPARE YOURSELF TO OTHERS è una delle regole che sono parte del personaggio che Ibra ha costruito durante gli ultimi anni di carriera. Lui è un attaccante completo che segna e fa segnare e in questo Milan più che mai. Aiuta la squadra a giocare bene, lotta sempre come un leone e come tale non si paragona agli altri.
Ora più che mai lo farà: PROVE THEM WRONG ossia dimostra a tutti i detrattori che Ibra è come Benjamin Button, ringiovanisce con gli anni.
Le sfide motivano l’atleta: BE A CONQUEROR è l’idea che ha portato Ibra a giocare negli USA.
Non tutti i giocatori sanno rinunciare al denaro in nome delle sfide: DON’T CHASE MONEY. Ibra rinunciò ad un contratto ricchissimo in Cina per conquistare gli USA.
Nel 2016 tornò alla corte di Mourinho, uno dei suoi mentori. Arrivò al Manchester Ibra era seriamente intenzionato a conquistare il suo palcoscenico secondo la regola GIVE PEOPLE WHAT THEY WANT, ossia la vittoria, perché arrivare secondi vuol dire fallire.
Un certo Cantona, che di sicurezza ne aveva, gli disse “A Manchester c’è spazio per un solo re, magari può esserci anche un principe, ma niente di più. Il numero 7 comunque può essere tuo se vuoi, Ibra” che non avrebbe potuto essere il re di Manchester. Ibra non si scompose più di tanto e rispose seguendo la sua linea: “Ho sentito tutto quello che ha detto. Mi congratulo con lui che ho avuto modo di apprezzare durante la sua carriera. Sul fatto che non sarò il re di Manchester ha ragione: io sarò il Dio”.
Al Manchester avrebbe potuto ottenere qualcosa di più livello individuale e Mourinho lo disse il giorno del suo addio per gli USA: “Sono stati due anni positivi e solo un terribile infortunio ha impedito che fossero eccelsi”.
Il suo passato da ghetto ritorna sempre, ecco perché incita così: MASTER YOUR MAN STARE tanto quanto LIVE ON THE EDGE. L’adrenalina delle partite ogni tanto gli suggerisce qualche pazzia, ma di lui tutto si può dire fuorché un immaturo.
Per essere longevi ad ogni modo bisogna saper apprezzare il lavoro come la vita: ENJOY THE LIFE, Ibra sa farlo: alla Juventus nel 2004 chiese e ottenne una Enzo Ferrari per cui lo stesso Montezemolo si mosse. E la Ferrari tornerà più e più volte a lasciare il segno. Al Barcellona si presentò al primo giorno di allenamento in Ferrari ma Pep Guardiola, l’unico allenatore con cui si è lasciato male, gli disse: “Qui non è concesso guidare queste auto”.
Quell’anno dichiarò: “Sono una Ferrari e mi trattano come una FIAT”. Qualche anno dopo, negli USA, impreziosì le sue prestazioni dichiarando con la consueta ironia “Sono una Ferrari in mezzo a tante FIAT”.
E non c’è dubbio alcuno che adori le auto di lusso, lo conferma il fatto che per il suo 38esimo compleanno si è concesso un meritato regalino da 1,5 milioni di euro: una Ferrari Monza SP2 Limited Edition, prodotta a Maranello in appena 499 esemplari.
Alla Juventus Fabio Capello gli insegnò a stare in area di rigore, a segnare. Gli diede i VHS di Marco Van Basten e a fine allenamento lo costringeva a tirare 100 volte: MAKE NO EXCUSES.
Nelle sue dichiarazioni non sappiamo mai quanto ci fa e quanto lo è: DON’T BE TOO SERIOUS è sicuramente il modo migliore per allentare la tensione, non farsi corrodere dallo stress e continuare a macinare record. Al salutare gli USA disse: “Sono arrivato negli Stati Uniti, ho visto e ho conquistato tutto. Volevate il miglior Zlatan e l’avete avuto, ora tornate pure a guardare il baseball”. BE BRILLIANT certamente ma non dimentichiamoci la sua gratitudine tanto è vero che ringraziò apertamente i Los Angeles Galaxy: “Grazie per avermi fatto sentire di nuovo vivo”.
Dopo due anni, al sentirsi vivo, il desiderio di una sfida importante ritorna con prepotenza. Al Milan, dieci anni dopo, Ibra indossa la numero 21 secondo una scelta dettata dai figli. Per Ibra la famiglia è sempre stata un punto cardine: LOOK AFTER FAMILY. La famiglia ha avuto un ruolo fondamentale nel ritorno a Milano, una città che adorano. Non tutti lo dicono ma la sua relazione con la modella svedese dura da quasi due decenni e non c’è mai stato una voce di gossip che potesse anche solo impensierirla.
Alla sua presentazione, in conferenza stampa dichiarò che avrebbe sfidato ancora i suoi limiti cercando di aiutare il Milan, squadra che ama tanto quanto la città, ad uscire dal momento complicato. Magari anche solo per vincere una Coppa Italia, tra l’altro trofeo mancante nella bacheca lucente di Zlatan. Purché si vinca.
E il 28 gennaio ce ne ha dato una dimostrazione, il gol del definitivo 4-2 al Torino decreta la qualificazione in semifinale del Milan; poi celebrato così: “Non me ne sono mai andato”.
Agli albori della sua carriera, quando dal Malmö arrivò all’Ajax, in risposta ad alcuni cronisti invadenti così disse: “Io sono Ibra e voi chi diavolo siete?”
Prima di firmare per l’Ajax, era stato ad un passo dall’Arsenal di Arsène Wenger che prima di contrattarlo aveva voluto provarlo: “Io non faccio provini” disse Ibra.
Ora è decisamente un’altra persona ma ci piace ricordarlo così, perché in fondo, come diceva Wilde, per ringiovanire basta solo recuperarne le follie.
In realtà le sue spacconerie torneranno spesso: più di una volta lo abbiamo visto litigare con qualche collega in Ligue 1 piuttosto che in MLS dicendogli: “Scusa ma tu chi sei?”
In generale è sempre stato una persona poco tollerante, nella squadra di club così come in nazionale, che accetta malvolentieri un cross impreciso o un ritardo nel passaggio. Celeberrima la sfuriata dopo una sconfitta in rimonta degli avversari, gli Houston Dynamo: “Se siete venuti qui per andare in spiaggia o passeggiare a Hollywood dovete dirmelo, e dovete dirmelo adesso. Non ho bisogno di tutto questo dal momento che ho 300 milioni sul mio conto in banca, possiedo un’isola e nel mio portafogli tengo sempre una Revolut Metal”.
In campo ormai sa come farsi rispettare: in MLS un calciatore si è preso un bello schiaffone per avergli pestato un piede accidentalmente.
Al Milan dieci anni fa fece di meglio: in una grossa litigata con i difensori del Napoli, difendendo le spalle al suo amico Nocerino, diede uno scapaccione ad Aronica che rispose restituendolo a Nocerino. La Gazzetta dello Sport il giorno dopo titolò: “Schiaffetti, dispetti, scudetti”. Fu una pantomima al limite del ridicolo che non smette di suscitare ilarità a distanza di anni. Quell’anno il Milan, sensibilmente superiore perse lo scudetto ai danni della Juve di Conte malgrado un Ibra Cadabra capocannoniere con 28 gol.
Oggi si celebra la doppietta dello svedese che regala il primato in classifica ai rossoneri. Una gioia che i tifosi non provavano ormai da diverso tempo. Terzo doppiettista più anziano della seria A dopo Totti e Piola.
Non erano molti quelli che prospettavano una tale evoluzione dello svedese. Ormai passato dalla 21 alla numero11, nel derby n°173 Ibra si prende la scena e lo fa dopo essere guarito dal Coronavirus che gli era stato diagnosticato a sorpresa il 24 settembre: “Il Covid ha avuto il coraggio di sfidarmi. Cattiva idea”.
Si allena in casa, ha le motivazioni impressionanti. E i risultati strabiliano. Nella città che più ama e che più sa capire il suo stile ribelle, guascone e pur tuttavia estremamente professionale.
Duro e scontroso, indelebilmente legato all’apologia del ghetto, sotto quella corazza da vichingo adottato, nasconde un cuore premuroso attento ai bisogni dei più deboli: spesso e volentieri ci sono dei bambini che accompagnano l’ingresso dei campioni sul terreno di gioco. Una volta capita che un bambino prepotente si metta in prima fila ai danni di uno più ingenuo. Ibra è lì, si accorge dell’ingiustizia e lo fa arretrare nuovamente senza dare spiegazioni. Cos’altro vogliamo aggiungere?