Perché Marcelino è stato esonerato

La destituzione di Marcelino García Toral dal Villarreal è stato un fulmine a ciel sereno al termine di una giornata iniziata con la conferma che Roberto Soldado si sia praticamente giocato la stagione (tra l’altro proprio in queste ore si trova sotto i ferri nella clinica Begoña di Gijón). Il clamore dell’esonero deriva dal fatto che non erano trapelati segnali di alcun genere circa malumori da parte della dirigenza ed è arrivato a una settimana dal preliminare di Champions League, con il mercato già concluso. Per capire come si sia arrivati a questa situazione bisogna però fare un passo indietro e considerare tutta l’era Marcelino, perché se è vero che la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata un’accesa discussione con Mateo Musacchio lo scorso martedì sera, è altrettanto vero che non si può prescindere da tutti gli altri fattori che hanno condotto a questo scenario. Partiamo da molto lontano.
Nel dicembre del 2007, quando era sulla panchina del Racing di Santander, nel corso di un’intervista rilasciata a El Mundo Marcelino spiegò «Non sono un sostenitore degli esempi di Ferguson o Wenger: credo sia meglio trattenersi nello stesso club per tre o quattro anni, perché poi si finisce a prendere cattive abitudini. La routine è negativa, è meglio cercare nuove sfide dopo questo periodo». Ma più che un’intolleranza verso i progetti a lungo termine si potrebbe parlare di incompatibilità. La differenza è sottile ma sostanziale. Quando fu scelto come tecnico del Villarreal a Natale 2012 le sue caratteristiche sembravano conformi a quello che la società si aspettava perché la sua metodologia di lavoro è sempre stata molto esigente, sia sotto il profilo tattico ma soprattutto sotto quello atletico. Più che esigente, intransigente, più che rigido, dedito al lavoro, più che fiscale, maniacale. Ma non solo sul piano atletico. Appena arrivato studiò subito una ferrea dieta con il nutrizionista del club Hèctor Usó che fece perdere in media tre chili di peso a ogni giocatore. Nel caso di Fernando Cavenaghi furono addirittura tre chili e mezzo in due settimane. E l’inflessibilità alimentare è sempre stata in vigore sotto il suo mandato: lo stesso Alexandre Pato pare abbia perso quasi quattro chili nei primi dieci giorni a Miralcamp. Ogni giocatore si pesa la mattina prima di fare colazione e ogni due settimane il corpo tecnico effettua un controllo della massa grassa.
Quando se ne andò dal Recreativo Huelva parlò di ciclo finito, disse che «nel giro di qualche mese si sarebbero potuti rompere i meccanismi che avevano portato a determinati risultati l’anno prima». Il suo regime è senza ombra di dubbio molto rigido. Lo scorso marzo, durante un’intervista rilasciata per Marca ribadì il concetto: «Credo ciecamente nell’idea che si gioca come ci si allena. Per questo esigo molta intensità in allenamento: non concepisco che un calciatore si stanchi di allenarsi». Proprio come si disse di Antonio Conte al termine del suo ciclo alla Juventus, è molto probabile che alla lunga i calciatori risentano di tanta intensità. Forse anche per questo il Villarreal, nel corso dei suoi tre anni e mezzo di servizio, ha spesso cambiato molti giocatori sostituendo una decina di elementi in ogni sessione di mercato estiva. Ma questo non è il punto focale della questione: è l’humus di substrato che ha condotto alla polveriera degli ultimi giorni.
Il frutto di un livello di esigenza così alto sono stati i risultati: ha rilevato una squadra a metà classifica in Segunda e l’ha portata alla promozione diretta dopo un girone di ritorno quasi perfetto, al primo anno di Primera ha c’entrato la zona europea, e al secondo – nonostante un massiccio mercato in uscita – si è ripetuto in campionato, raggiungendo gli ottavi in Europa League e la prima storica semifinale in Copa del Rey. L’anno scorso, infine, ha conquistato un incredibile e insperato quarto posto e una semifinale europea, il tutto continuando a battere record societari di stagione in stagione. C’è però anche il rovescio della medaglia. Un costante malessere con alcuni giocatori dello spogliatoio. Non tutti sono emersi.
In pochi si ricordano del declino di Giovani dos Santos, arrivato come autentica stella e man mano accantonato in favore di Vietto e Gerard Moreno: si parlò di guai fisici, ma la sua scarsa attitudine al sacrificio fu un fattore concomitante. Poi nell’allenamento del 29 ottobre 2014, e questo affiorò pubblicamente, avvenne un’accesa discussione con Bruno Soriano nella seduta di allenamento. L’allenatore accusò il giocatore di scarso impegno dopo che questi si fermò in seguito a un contrasto di gioco e continuò nel corso della partitella a fargli pressioni, fino a che Bruno gli rispose dicendogli di stare zitto. Marcelino lo richiamò all’ordine e il chiarimento avvenne negli spogliatoi, visto e considerato che la seduta si tenne a porte aperte ed erano presenti tifosi e alcuni giornalisti. Meno di un paio di mesi più tardi il giocatore che più aveva reso la stagione precedente, ovvero Cani – che a trentadue anni suonati disputò la sua migliore annata di sempre –, fu messo sul mercato in fretta e furia dopo un litigio con il tecnico asturiano. Aveva rinnovato firmando un triennale meno di dodici mesi prima, ma dopo gli attriti emersi fu mandato in prestito all’Atlético Madrid per sei mesi, e l’estate successiva svincolato. E ancora lo scorso 13 dicembre 2015 Marcelino fu beccato dalle telecamere durante la gara vinta contro il Real Madrid mentre urlava a Bailly di rimanere in campo, quando invece l’ivoriano chiedeva la sostituzione per un dolore alla spalla destra. Il difensore giocò quasi un quarto d’ora e gli fu poi diagnosticata una sublussazione, ma il battibecco tra i due fu l’ennesimo segnale di un rapporto giocatori-allenatore sempre sul filo del rasoio.
Nessuno di questi fatti citati ha portato all’esonero di Marcelino negli scorsi anni, ma il punto della questione è che il tecnico asturiano è un tipo di allenatore che alla lunga porta i giocatori a un livelli di stress sopra la media. È il prezzo da pagare per una serie di risultati importanti. E con questo arriviamo ai recenti sviluppi. Martedì sera nel pre-gara dell’amichevole contro il Deportivo La Coruña Bruno Soriano ha avvertito dei guai alla schiena e l’allenatore ha deciso di non schierarlo, così si è arrivati al dilemma della fascia di capitano. In linea teorica sarebbe spettata a Mateo Musacchio, ma il difensore argentino non si è allenato per tre settimane durante la preparazione fisica perché sperava in una risoluzione positiva delle trattative col Milan. Una volta archiviate le negoziazioni e accertato che il giocatore sarebbe rimasto al Villarreal è stato reintegrato in rosa, ma a Marcelino il suo comportamento non è andato a genio. L’idea iniziale era quella di fargli saltare il preliminare di Champions League come punizione e reinserirlo tra i titolari una volta capita la lezione e recuperata la miglior forma fisica. Ma questa soluzione, ineccepibile da un punto di vista gestionale di un gruppo di lavoro, non è stata molto apprezzata dalla società (che nel play-off vede ballare quindici-venti milioni di euro), ma soprattutto dai giocatori. Perché se è vero che la dirigenza ha sempre appoggiato il tecnico, è anche vero che i giocatori si sono schierati dalla parte di Musacchio: per molti di loro la possibilità di giocare in Champions League è un traguardo ambito per anni, e giocarsi questa possibilità senza uno dei giocatori più forti della rosa sarebbe uno svantaggio imperdonabile. Il gruppo di “anziani” – individuabile grossomodo nei vari Asenjo, Jaume Costa, Mario Gaspar, Bruno Soriano, Roberto Soldado – ha perciò preso le difese dell’argentino. Cosa sia accaduto nello spogliatoio non lo sapremo mai, ma il tecnico ha deciso di affidare la fascia di capitano a Mario Gaspar e probabilmente Musacchio deve averla presa male. Potrebbe aver attaccato l’allenatore facendogli notare come in pochi, all’interno dello spogliatoio, lo sopportassero. Ma da qui a sapere cosa si siano realmente detti, ce ne passa.
Il giorno dopo tecnico, società e spogliatoio devono essersi confrontati su quanto accaduto. La dirigenza aveva avuto già altri dissapori col tecnico in merito alle scelte di mercato. A quanto si è capito Marcelino non aveva alcuna intenzione di prendere Pato e avrebbe preferito Adrián López (che il Porto avrebbe ceduto per una somma leggermente superiore), ma per motivi di età, di marketing e di potenzialità è stato scelto il brasiliano. Discorso simile per quanto riguarda Cristian Espinoza, che la dirigenza avrebbe voluto integrare in rosa ma che invece il tecnico non ha voluto (dovrebbe giocare in prestito all’Alaves). Mentre Marcelino ha chiesto espressamente José Ángel bocciando Adrián Marín. Come già ribadito: nessuno di questi singoli fatti ha portato alla sua destituzione, ma la situazione complessiva aveva raggiunto un punto di non ritorno. Prendere le parti dell’allenatore e non superare il preliminare avrebbe significato una totale perdita di controllo dello spogliatoio, rischio che si è deciso di non correre. La decisione non è stata facile, ma considerata la situazione è comprensibile. Se sia stata la scelta giusta è difficile dirlo, e probabilmente in situazioni così complesse non c’è una scelta giusta, ma solo decisioni difficili da prendere. Il presidente Roig sa benissimo, e lo ha ribadito in più di un’occasione, che Marcelino è probabilmente il miglior allenatore che questo club abbia mai avuto, ma quando si entra in alcune dinamiche pericolose, bisogna prendere decisioni drastiche per il bene della squadra. Il tempo, forse, ci spiegherà quello che ancora non sappiamo.