Il Camp Nou è lo stadio più grande d’Europa: con i suoi 100 mila posti si situa davanti al Wembley Stadium Londra che ne ha 90 mila e al Croke Park di Dublino (82.300). Quest’ultimo è ultilizzato per lo più per sport gaelici.
Non tutti hanno la fortuna di assistere ad un match del Barcellona, così la visita del museo risulta essere un buon compromesso per assaporare un po’ della gloria di un club che nell’ultimo ventennio è diventato un marchio del successo e della realizzazione non solo sportiva.
In un giovedì qualunque mi reco al museo e mi ritrovo a fare la fila: i turisti sono abbastanza variegati e, al contrario di ciò che si può immaginare, ci sono molte donne, oltre che bambini ed appassionati di calcio, provenienti da ogni parte del mondo. Se il Barcellona riscuote interesse in donne non necessariamente appassionate di calcio, magari indiane piuttosto che cinesi, vuol dire che il suo marchio è diventato globale. Piccolo appunto, un ingresso normale, in sostanza basic, costa 26€ a ricordare che è un brand fondamentalmente di élite. E sono loro stessi a ricordarcelo con quel ritornello che in catalano, e non poteva essere altrimenti, recita così: “Més que un club” ossia “Più che un club”.
Parte dell’aura vincente che il Barcellona si è costruito viene dalla Masia, il settore giovanile che ha generato talenti incredibili: costoro sono gli eredi elettivi di un’ideologia, il barcellonismo, che quando raggiunse i suoi eccessi trattava i suoi giocatori come scolaretti, assoggettati al collettivo. Tutti uniti per il bene comune in sostanza.
L’apoteosi giunse nel 2010, quando Messi, Xavi e Iniesta furono i 3 finalisti del pallone d’oro FIFA. Il risultato fu storico dal momento che non era mai successo che i primi 3 classificati appartenessero allo stesso club. Cosa ancora più sensazionale era che questi 3 si erano formati alla Masia, l’accademia giovanile del club, educati al lavoro duro, all’umiltà, alla sportività.
Nel museo si percepisce chiaramente un forte orgoglio catalano che si professa attraverso i progetti educativi del Barcellona. Tutti i progetti sono basati sulle seguenti premesse: l’utilizzo dello sport come forza coesiva, come propellente educativo specialmente nei giovani. Il club proietta l’immagine della Catalogna nel mondo e va oltre l’ambito strettamente sportivo.
Passeggiando per il museo non possono essere ignorati i palloni d’oro di Messi così come le Coppe dei Campioni. E ci sono anche le scarpe d’oro oltre che molti cimeli di giocatori che hanno fatto la storia del club, dalle magliette agli scarpini.
Si celebra il primo capitano Joan Gamper e mi colpisce il ricordo di uno storico trasferimento dell’estate 1982, quello di Diego Armando Maradona. Allora e prima di arrivare al Napoli era già considerato il numero uno del mondo forte di quel sinistro divino, dei cambi di ritmo, dei dribbling e della velocità.
Sono anche presenti i trofei del Basket, del calcio a 5, dell’hockey su pattini e della pallamano.
Ci sono anche i quadri celebrativi di Joan Mirò che celebrano ogni volta un venticinquennio di storia del club.
Infine arrivo sulla tribuna e mi siedo ammirando la vastità dello stadio, l’enormità dello sponsor Rakuten rimarcato dai seggiolini di diversi colori.
Una telecronaca radiofonica ricrea un po’ di atmosfera ed io mi immagino, tanto per dirne una, cosa sia potuto accadere quando il Barcellona si qualificò dopo aver vinto sul Paris Saint Germain 6-1.
Di turisti ce ne sono sempre, il Barcellona vince e fattura. La visita, dopo qualche tornello, termina nello store, che è l’uscita del museo.
Da calciatore avevo un compagno di squadra, un attaccante di razza con una staffilata notevole che spesso indossava i calzettoni a righe orizzontali blau-grana, come se fossero uno status symbol. Non ho potuto evitare di acquistarli anche io. Hombre, por supuesto.