FootLab – Salisburgo, l’avamposto calcistico Red Bull e la contromossa della Curva Viola

Martedì 12 giugno, il Red Bull Salisburgo è sceso in campo contro la squadra lettone FK Liepaja nella partita di andata del secondo turno di qualificazione per la prossima Champions League. I campioni d’Austria hanno vinto 1-0 con gol di Jonathan Soriano al minuto 83, ma hanno faticato più del previsto, complice la pioggia scesa durante il match. Durante l’intervallo, alcuni giocatori hanno cambiato le maglie inzuppate, come ha fatto Andreas Ulmer, il terzino sinistro dell’RB Salisburgo. Nome sulle spalle, numero 17 sulla schiena, logo della bevanda energetica davanti, stemma del club sul lato sinistro del petto e di nuovo in campo per i secondi 45 minuti.
Un piccolo dettaglio è sfuggito, però, ad Andreas: quella che indossava non era la maglia del club austriaco, ma della “gemella” squadra di Lipsia, anche lei sotto l’egemonia della Red Bull. Simili in tutto per tutto, o quasi, le uniformi delle due squadre differiscono solo dal nome del club posizionato sotto al gagliardetto, due tori rossi che si scontrano con al centro un pallone. Così Andreas Ulmer ha continuato a giocare con la scritta FC Leipzig e, mentre sull’asse Germania – Austria si è parlato di “Trikotgate” (Trikot in tedesco significa maglia) e lo staff salisburghese ha accusato un lotto di divise recapitate per errore, Ulmer ci ha scherzato su con un simpatico: «Ma almeno il mio nome era corretto?».

Andreas Ulmer con la maglia dell'RB Lipsia
Andreas Ulmer con la maglia dell’RB Lipsia

La nascita dell’impero Red Bull: marketing applicato allo sport
In realtà, il logo dell’RB Salisburgo è leggermente differente perché è esplicito il riferimento alla Red Bull, ma per essere conforme alle regole Uefa che vietano di citare lo sponsor sullo stemma del club, la squadra austriaca ha giocato il turno di qualificazione scevra da marchi, opzione, come avviene con il RB Lipsia, già adottata in Germania. Al di là dell’ironia di Ulmer e del goffo incidente, l’episodio risolleva una questione, molto discussa tra i tifosi, sulla credibilità sportiva del progetto calcistico globale e avvolgente della bevanda ambrata.
L’intuito è di Dietrich Mateschitz, imprenditore austriaco che, nel 1984, ispirandosi a bevande asiatiche, ha ideato l’energy drink Red Bull e realizzato un modello vincente in perfetta sinergia tra business e marketing. L’azienda dei due tori rossi, infatti, nel corso degli anni ha legato il suo brand al mondo sportivo: ha supportato l’impresa di Felix Baumgartner (anche lui originario di Salisburgo) di saltare dalla stratosfera, ha sponsorizzato eventi di snowboard e di altri sport estremi, ha due scuderie in Formula 1 (Red Bull Racing e Toro Rosso) e si è buttata nell’hockey su ghiaccio e nel calcio con cinque avamposti sparsi nei vari continenti: Red Bull Salisburgo, RB Lipsia, New York Red Bulls, Red Bull Ghana e Red Bull Brasil.
La società ha il suo quartier generale a Fuschl am See, paesino di mille abitanti del land Salisburghese e proprio nella città di Mozart ha voluto piantare le sue radici prima di espandere capillarmente il suo marchio su tutto il globo. Qui inizia il viaggio accompagnato da due domande: quando nasce il Red Bull Salisburgo? E Austria Salzburg vi dice niente?

Il Red Bull Salisburgo
Il Red Bull Salisburgo

Dipingere di bianco e rosso il passato glorioso dell’Austria Salzburg
Per rispondere al primo quesito, bisogna partire dal secondo. Anno di nascita 1933, lo SportVerein Austria Salzburg è ricordato, al di fuori dai confini nazionale, per essere arrivato in finale di Coppa Uefa nel 1994, poi persa contro l’Inter con un doppio 1-0 tra andata e ritorno. Il punto più alto di quei anni ’90, ancora nei sogni dei tanti tifosi salisburghesi che, con tre campionati nazionali vinti (’94, ’95 e ’97), frantumarono un’egemonia pressoché secolare spartita tra le squadre di Vienna. Legata agli inconfondibili colori viola e bianco (il soprannome è, infatti, Violett-Weiß), l’Austria Salzburg ha, invece, cambiato più volte denominazione e stemma. Semplici politiche di sponsor: a partire dal 1976, si sono succedute la banca Sparkasse, poi il Casinò e per finire la società di servizi finanziari Wüstenrot. Fino al 2005, quando Mr. Red Bull fiuta il colpaccio. Con la squadra in caduta libera e in difficoltà economica, Dietrich Mateschitz rileva la precedente gestione e stravolge tutto: cambia lo stemma (e fin qui poco male), i colori sociali passano dal biancoviola al biancorosso, rinomina lo stadion Wals-Siezenheim in “Red Bull Arena” e arriva addirittura a cancellare il passato dell’Austria Salzburg scrivendo sul sito (poi rimosso su ordine della ÖFB, la Federazione calcistica austriaca) «squadra fondata nel 2005».
Più di 70 anni di tradizione dissolti in una bolla di sapone: un autentico brainwashing propagandistico con il richiamo al drink energetico praticamente piazzato ovunque su sciarpe, cappellini, gadget e stadio compreso. Il giocattolo inizia subito a funzionare grazie a investimenti economici e tecnici mirati: dopo una stagione di rodaggio, nel 2006-2007 è l’allenatore Giovanni Trapattoni, assieme a Lothar Matthäus come assistente, a riportare la squadra di Salisburgo a vincere il titolo nazionale esattamente 10 anni dopo l’ultimo trionfo. E’ il primo tassello di un monopolio calcistico in patria: i giocatori alzeranno per altre sei volte il Meisterschale (l’ultimo nella stagione appena conclusa che porta a 10 i campionati vinti) e quattro Coppe d’Austria. In più la Red Bull Arena, in vista dell’Europeo del 2008, è stata ristrutturata arrivando a una capienza di 30.188 posti, diventando così lo stadio più grande della Bundesliga austriaca e l’unico in erba sintetica.

Bergomi e i giocatori dell'Austria Salzburg nella finale di ritorno di Coppa Uefa 1994
Bergomi e i giocatori dell’Austria Salzburg nella finale di ritorno di Coppa Uefa 1994

Stadio nuovo e vittorie, la strategia Red Bull funziona. Ma i tifosi?
Ottime strategie di vendita, programmazione, fondo economico consistente, rilancio del brand, stadio e impianti moderni per soddisfare intere famiglie: è indubbio che il progetto Red Bull a Salisburgo abbia funzionato introducendo un nuovo sistema calcistico nel quale il main-sponsor decide attivamente di controllare le sorti del club a cui si lega in quanto creatore dei processi sia sportivi che di marketing della società. Un’identità costruita a tavolino, o se volete in laboratorio, e sperimentata oltralpe prima di essere esportata come “copia&incolla” in nuovi scenari e mercati non solo più meramente calcistici: è il sistema delle franchigie che la Red Bull ha ulteriormente potenziato, attraverso una matrice replicabile all’infinito, per garantire al marchio il miglior ritorno d’immagine possibile. Unica controindicazione: prendere o lasciare. Un “aut-aut” da dentro o fuori che pone il tifoso, già disorientato per il nuovo restyling, dinanzi a un bivio, scegliere il pacchetto completo e vincente, rinunciando alla tradizione o alzare i tacchi e andar via.

Il cuore viola e i 72 anni di storia. Rinasce la fortezza Hohensalzburg 
Nella fase embrionale del progetto, supporter e società hanno provato a dialogare per trovare una direzione meno drastica, soprattutto sulla scelta dei colori del club. I vertici scelgono come compromesso di colorare di viola la fascia da capitano, il logo dell’Adidas sulla maglietta e i calzettoni del portiere. Ma è troppo poco e, così, durante la prima parte della stagione 2005-2006 nello stadio l’atmosfera si fa via via surreale con blocchi di tifosi indispettivi che sventolano sciarpe viola e sezioni di tribune con i nuovi supporter omologati alla gestione Red Bull. Dopo il fallimento dei negoziati e le troppe proteste, la risposta della Red Bull si fa secca: «Volete il viola? Allora allo stadio vi distribuiamo degli occhialini con le lenti colorate così potete vedere il vostro viola».

Questo segna la spaccatura definitiva. Una passione tramandata di padre in figlio, in curva o in trasferta, non può essere strozzata da una squadra nata in provetta e senza legami: è questo il pensiero di un gruppo di tifosi appartenenti alla “Curva Viola” che, il sette ottobre 2005, registra un nuovo club, nel rispetto del sodalizio antico del 1933. Stesso nome, Sv Austria Salzburg e ripristinati i colori sociali “Violett-Weiß”: elementi unici da mettere in evidenzia nel nuovo stemma che raffigura il Festung Hohensalzburg, la fortezza di Salisburgo, una delle più antiche e celebri in Europa. Eccoli i simboli, ecco la roccaforte che stringe e difende al suo interno valori decennali. Ecco i 72 anni di storia, ecco che il rimpianto per il doppio palo di Peter Artner con Zenga battuto nella finale di ritorno di Coppa Uefa del 1994 a San Siro viene custodito con affetto nella memoria.

Nella curva dei tifosi viola
Nella curva dei tifosi viola

La scalata partendo dall’ultima serie
A stagione già iniziata, i circa 800 soci della neonata società stipulano un accordo con la sezione calcistica dalla polisportiva PSV Salisburgo per poter giocare assieme nei primi mesi del 2006. Si sceglie una maglia bianco-viola e lo stemma di entrambe le società, ma il connubio, a causa di mancate garanzie, non è destinato a durare, così per la stagione 2006-2007, l’Austria Salzburg decide di diventare un’associazione indipendente con una nuova squadra messa su “arruolando” anche ragazzi che poco prima erano in curva, partendo dal campionato più basso, nella 2. Klasse Nord A amatoriale. Dallo stesso anno il team gioca le partite casalinghe all’ASKÖ Sportanlage West, divenuto nel 2010, per ragioni di sponsor, My Phone Austria Stadion, un campetto in zona Maxglan, con 1.599 posti, dei quali solo 400 a sedere (ma con la possibilità, introdotta di recente, di personalizzare i seggiolini col proprio nome).
Nel frattempo la genesi romantica-ribelle della squadra austriaca si diffonde tra le curve e supera i confini nazionali: nel 2009, per esempio, supporter del Maccabi Haifa, squadra d’Israele, espongono uno striscione contro il “calcio moderno” e in difesa dell’Austria Saliburgo, in un match contro il Red Bull Salisburgo. In quattro stagioni, la squadra centra altrettante promozioni, approdando, nella stagione 2010-2011, nella Regionalliga West, l’equivalente italiana della Lega Pro, primo tassello verso il calcio professionistico. Un paio di passi falsi, come lo spareggio perso per la promozione nella stagione 2013-2014, rallentano la scalata alla seconda divisione che si concretizza nell’anno 2014-2015, centrando la promozione in Erste Liga (la nostra Serie B) attraverso la promozione diretta.

I festeggiamenti per la promozione in Erste Liga
I festeggiamenti per la promozione in Erste Liga

Monopolio energy-drink: l’FC Liefering, la squadra “satellite” del RB Salisburgo
Durante la sua permanenza in terza e seconda divisione, l’Austria Salisburgo si è scontrata più volte contro il Fussballclub Liefering. Nato nel 1947, il club inizialmente si chiamava Turn-und Sportunion Anif e aveva sede nell’omonimo paesino di 4mila abitanti nel land Salisburghese. Nel 2010, l’ÖFB decide che le formazioni riserva (“amateure”) delle squadre professionistiche non possono giocare i campionati nazionali, ma solo quelli regionali. I vertici della Red Bull , avendo perso lo possibilità d’iscrivere il Salisburgo II nell’Erste Liga, decidono dunque di acquistare una nuova società che, essendo di fatto indipendente, può regolarmente disputare un campionato professionistico. L’intenzione è chiara: istituire una squadra “satellite”, un “farm team” da utilizzare come vivaio per far crescere i calciatori più giovani e potenzialmente promettenti, formandoli in un livello più alto di competizione.
Così nell’estate del 2012, la squadra di Anif passa nelle mani della società dell’energy drink che trasferisce la sede a Liefering, nome di un quartiere della città di Salisburgo, con la possibilità, a partire dalla stagione 2013-2014, di disputare gli incontri casalinghe nello stesso stadio del club “più adulto”, nella Red Bull Arena. Una pratica diffusa anche in passato e utilizzata da poteri forti, regimi o semplicemente da chi pensa di poter controllare flussi sociali: nonostante l’FC Liefering sia di fatto uno stampino dell’altro club (stesso logo, stesse maglie e chiari riferimenti all’azienda) per la Federazione calcistica austriaca non ci sono gli estremi per evidenziare un’incongruità con le regole finanziare e societarie.

La vittoria del Meisterschale nel 2014
La vittoria del Meisterschale nel 2014

Il futuro incerto dell’Austria Salzburg: la retrocessione e il supporto dei club
In questi anni l’SV Austria Salisburgo ha dimostrato che è possibile credere in un sogno: partita dalla settimana divisione, iniziando praticamente da zero, senza giocatori e senza impianti, in pochi anni il club ha raggiunto la seconda serie, a un passo dalla Bundesliga austriaca. Ora, però, le cose si sono complicate parecchio: i costi di gestione, tra l’iscrizione in Erste Liga e gli stipendi dei giocatori, assieme ai ritardi e le ulteriori spese per ammodernare lo stadio secondo gli standard della Federazione, hanno messo in seria difficoltà il club, a un passo dal tracollo.
Fallita la possibilità di cedere le quote di maggioranza a un investitore esterno, la società ha iniziato una campagna di crowdfunding lanciando appelli accompagnati dall’hashtag #SaveAS. Nel gennaio 2016, l’Union Berlin squadra di Zweite Bundesliga, i cui tifosi sono acerrimi nemici della politica inquinante e mercenaria del Red Bull Lipsia, ha organizzato un’amichevole di beneficenza con l’Austria Salisburgo, donando alla squadra viola l’intero incasso. Ma non solo: anche Monaco 1860, altre squadre tedesche e i tifosi dell’Udinese, nel loro piccolo, hanno contribuito a risanare le casse della società che, così, ha potuto quanto meno salvare il titolo sportivo del glorioso club. Il Comitato che regola le licenze della Bundesliga austriaca ha, tuttavia, sanzionato il club per inadempienza con sei punti di penalità e una multa di 40.000 euro: una batosta che è costata la retrocessione in Regionalliga.

Evitato il fallimento, ora l’Austria Salisburgo naviga a vista: servono nuovi sponsor per ridurre il debito di 600mila euro e va rifatta la squadra che ha perso parecchi pezzi durante l’ultimo anno di crisi. Ma il rilancio è possibile: lo staff sta selezionando nuovi giocatori, tra cui ragazzi provenienti dall’Afghanistan, dal Marocco e dalla Somalia, si stanno studiando strategie di vendita, e gira voce sul ritorno di Otto Konrad, oggi in politica, ma ex idolo da quelle parti per aver difeso i pali della squadra durante i gloriosi anni ’90 e durante l’ormai famosa finale di Coppa Uefa del ’94. Lui predica prudenza, ma per i tifosi è già arrivato il salvatore.

Otto Konrad, portiere dell'Austria Salzburg nei gloriosi anni '90
Otto Konrad, portiere dell’Austria Salzburg nei gloriosi anni ’90
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Giornalista, nato a Bari in un ambiente dove gli si diceva di tifare per i bianco-rossi, ha seguito il suggerimento alla lettera appassionandosi all'Union Berlin. Fidanzato ufficialmente con il club dal 12 agosto del 2012 quando ha assistito ad una partita per la prima volta nello stadio An der Alten Försterei. Ama i cappelli: i suoi, quello di De Gregori, di Charlie Brown, di Alan Grant e di Nereo Rocco.

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