Hasta siempre Eduardo Galeano, quello che i gol li segnava con la penna

Galeano

GALEANO – Scomparso a 75 anni il famoso scrittore uruguayano, uno delle eminenze della letteratura latinoamericana: immortalato da Le vene aperte dell’America Latina è stato l’autore letterario che più di ogni altro ha criticato il calcio moderno . “Io volevo diventare un grande calciatore ed in effetti ero proprio una meraviglia quando giocavo: il mio problema era che facevo il fenomeno solo di notte, mentre dormivo. Di giorno ero il peggior scarpone mai visto sui campi del mio paese.”
Il suo paese, quel piccolo angolo di mondo immortalato dalla sfericità di un pallone da calcio, era l’Uruguay, terra che anche grazie al suo nome ha avuto un posto nel planisfero che domina la mente dell’altra metà del pianeta.

Eduardo Galeano era nato a Montevideo nel 1940, dieci anni dopo il primo mondiale vinto sui prati di casa dalla Celeste , dieci anni prima di quell’altro mondiale con cui gli uruguagi fecero piangere il Brasile intero al Maracanà. Stava forse anche in quel suo essere nato a metà strada tra quei due apogei, la passione travolgente per il pallone che ha attraversato la vita di uno degli intellettuali più brillanti e influenti partoriti dal ventre dell’America Latina. Lui che ne aveva esplorato le vene aperte, la brillante metafora che ha dato il nome alla sua opera più nota, Le vene aperte dell’America Latina, quel saggio di disarmante semplicità ma al tempo stesso di eccellente e complessa indagine storica con cui Galeano, uomo dichiaratamente di sinistra, mise in luce l’originalità, l’autenticità e la forza dell’identità latinoamericana, sia in chiave precolombiana, sia da un punto di vista contemporaneo: non solo demistificò come pochi la concezione di scoperta del continente da parte di Colombo e la modernità portata dal colonialismo europeo, senonché mise in risalto come la ricchezza culturale ed economica dell’America Latina nel corso del XX secolo sia stata soffocata dal neocolonialismo degli Usa e del libero mercato , che hanno generato la strumentale visione di un a parte del mondo povera, un continente desaparecido, prendendo in prestito il titolo di un altro saggio, del nostro Gianni Minà, in cui tra l’altro Galeano appare come uno degli intervistati di maggior rilievo.

Ma al suo fervore politico, intellettuale e letterario, faceva da contraltare in Eduardo Galeano quella diabolica passione per il calcio che fa prigionieri milioni di esseri umani in tutto il mondo. Tifosissimo del Nacional di Montevideo, acceso spettatore ogni quattro anni dei Mondiali, lo scrittore uruguayano ha fatto coincidere questo amore viscerale per il pallone con la sua penna d’autore, ne El fútbol a sol y sombra, tradotto in italiano Miserie e splendori del gioco del calcio , un libro dove Galeano ha lottato in un certo senso contro sé stesso. Da un lato infatti emergono i sogni di quel bambino diventato uomo nei potreros (i campi in terra) del suo paese, affascinato dalla democraticità del calcio di strada, dove un pallone rompe confini, barriere, differenze sociali e permette con il tempo anche all’uomo della porta accanto di diventare l’eroe di un paese intero, come fu per Obdulio Varela, capitano dell’Uruguay del ’50, portentoso con gli scarpini e la celeste indosso sul maestoso prato verde del Maracanà, dall’aspetto banale e quasi goffo in giacca e pantaloni mentre consolava i brasiliani ai tavoli di un bar di Rio con qualche cachaça, ore dopo il Maracanazo.

Dall’altro lato c’è in quell’itinerario di calcio e letteratura la critica di Galeano al futbol moderno, dove orari improbabili, le aspre dispute sui diritti tv, sponsor onnipresenti e il numero eccessivo di partite affiorano come storpiature e riflesso degli eccessi del villaggio globale sul bel gioco. Un giocattolo , secondo le sue parole, dominato dalla “tecnocrazia dello sport professionale che ha imposto un calcio di pura velocità e molto forza, che rinuncia all’allegria, atrofizza la fantasia e proibisce l’audacia”. Ma poi se all’orizzonte appariva qualche angelo calcistico capace di accarezzare e coccolare il cuoio come nessun’altro, eccolo tornare ad indossare i suoi occhi di bambino di Montevideo e trovare di fronte alle brutture del pallone del 2000 una scusa per restare fedele a questa religione: “Per fortuna che di tanto in tanto qualche sfrontato moccioso esce dalle righe e osa dribblare tutta la squadra rivale, l’arbitro, il pubblico delle tribune, per il puro godimento del corpo che si lancia verso la proibita avventura della libertà”.

E adesso anche lui chissà verso quale libertà si sarà lanciato, assieme a Gianni Brera, a Osvaldo Soriano e agli altri poeti di questo romanzo infinito… Hasta siempre Eduardo Galeano, mendicante del buon calcio, che con i piedi giocava bene solo nei sogni, ma che di giorno con la penna ha segnato gol mai visti prima.

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