David Bentley, da nuovo Spice Boy all’ufficio di collocamento

Tottenham Hotspur's English midfielder DIl calcio può regalarti immense soddisfazioni, gloria, soldi e successo, ma se manca la passione sa anche essere crudele e portarti in pochi anni dalla nazionale a restare senza squadra: la carriera di David Bentley riflette perfettamente questa parabola, la sottile linea che divide un uomo da 18 milioni di sterline cresciuto sulle orme di Beckham a 29enne disoccupato con tutto nella testa fuorché il calcio. Cognome da auto di lusso rimasta, è proprio il caso di dirlo, senza benzina.

Centrocampista offensivo, ala capace di svariare su tutto il fronte d’attacco e all’occorrenza seconda punta, entra nell’Academy dell’Arsenal a soli 13 anni e cresce con giovani del calibro di Clichy e Fabregas: nel 2003 debutta diciannovenne in Fa Cup e trova il primo e unico sigillo in maglia Gunners l’anno dopo, sempre in Fa Cup nella vittoria per 4-1 sul Middlesbrough. Wenger gli regala anche una presenza in Premier League salvo spedirlo in prestito per le stagioni successive prima al Norwich, poi al Blackburn.

Viste le buon prestazioni i Rovers decidono nel gennaio 2006 di comprarlo a titolo definitivo e Bentley si presenta con una tripletta al Manchester United portando il club al sesto posto finale, con conseguente qualificazione in Coppa UEFA. Non ancora 23enne Bentley è  titolare in pianta stabile e leader incontrastato dell’Under 21, tanto da venir nominato Giocatore dell’Anno per i tifosi grazie ai 7 gol e 13 assist totali. Su di lui si sprecano i paragoni, il più ricordato è (ahilui!) quello con David Beckham affibiatogli dall’allora allenatore della nazionale inglese Steve McClaren, appellativo che lo accompagnerà per tutta la sua carriera e come un macigno peserà sul suo rendimento (alcuni addetti ai lavori affermarono che egli stesso accettò di farsi chiamare “Beck’s” dai compagni di squadra).

La sua classe cristallina è comunque indiscutibile, tanto da venir definito dal manager dei Rovers Mark Hughes “un talento dal grande futuro” e dal Presidente John Williams “uno dei migliori giovani d’Inghilterra”: cresce l’interesse dei top club d’Inghilterra, Manchester United su tutti, ma anche Tottenham e lo stesso Arsenal, che in lui non aveva mai creduto: con l’addio di Hughes, passato al Manchester City, anche Bentley decide di tentare il grande salto e nel 2008 sceglie il Tottenham per la cifra record di 17 milioni di sterline.

A White Hart Lane le aspettative sono tante, il progetto è ambizioso e l’ingente somma spesa aumenta su di lui il senso di responsabilità: segna gol vittoria nel derby con l’Arsenal, esordisce in nazionale (con la quale totalizzerà 8 presenze) ma il suo rendimento non è quello visto nelle stagioni con i Rovers. Soffre i moduli di Redknapp, che non prevede mezzepunte o trequartisti ma ali veloci che vadano sul fondo: l’esplosione di Lennon lo relega in panchina. Gli Spurs lo mandano in prestito, prima al Birmingham poi al West Ham, ma un infortunio al ginocchio lo costringe ai box per più di metà stagione.

Con l’incombere della stagione 2012-2013 nonostante un’ottima pre-stagione, in cui si sono rivisti sprazzi del giocatore visto a Ewood Park, il nuovo tecnico André Vilas-Boas lo manda in prestito al Rostov, nella Russian Premier League, diviene così il primo inglese a giocare in terra sovietica, ma un altro malanno fisico ne condiziona il rendimento e torna all’ombra del Tamigi. Prova a risorgere da dove tutto è partito, al Blackburn, ora relegato in Championship, ma anche qui non incide. Scaduto il suo contratto la scorsa estate, resta svincolato. Gli estimatori non mancano anche fuori dall’Inghilterra (Leeds, Malaga, perfino i bulgari del Levski Sofia gli offrono un provino), ma l’ultima chance sembra non arrivare mai: passano i giorni, settimane, mesi, fino a ritrovarlo oggi, sempre senza squadra. A soli 29 anni la sua carriera è ormai al capolinea.

Recentemente, intervistato da Life’s a Pitch, programma tv in onda sull’emittente britannica Bt Sport, ha così spiegato la sua attuale situazione: “Gli ultimi anni sono stati terribili: ogni anno e ogni tappa della mia carriera è andata sempre peggio, sia dentro che fuori dal campo. Ho deciso di prendermi 3 mesi di pausa in estate, 3 mesi che sono diventati 6, poi 9. Nonostante tutto è piaciuto stare lontano dai campi di gioco, stranamente è quello che da giovane avrei sempre voluto fare – continua – Il calcio è diventato “robotico”, con troppe influenze delle statistiche e dei social media, quando ho esordito con l’Arsenal giocavano gente come Ray Parlour e Tony Adams, dei caratteristi, forti personalità, ora è tutto diverso.”

“Sono contento di starne fuori, lentamente il gioco è diventato ripetitivo e non mi interessa più: voglio solo divertirmi e godermi la vita. Non rimpiango ciò che ho fatto, ho sempre voluto giocare perché mi piaceva, ma se non ho questa sensazione è giusto che nella vita mi dedichi ad altre cose.”

About Andrea Gatti 567 Articoli
24 anni, appassionato di sport a tutto tondo (football americano, basket, golf e ovviamente calcio), letteratura, film e auto. Dopo aver conseguito la maturità linguistica, lavoro attualmente per una multinazionale metalmeccanica, mi occupo di calcio estero per passione ed amore per il rettangolo verde.

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