“Incredible, incredible” borbotta Joe Hart raccogliendo la palla dal fondo della rete dopo il fortunoso gol del Real Madrid, un tiro-cross di Bale deviato in porta dal maldestro intervento in scivolata di Fernando. Caro Joe, incredible è che il City sia arrivato sino alle semifinali di Champions League.
Dopo l’orrenda gara d’andata, in cui solamente l’altrettanta inconsistenza del Real aveva permesso agli uomini di Pellegrini di chiudere in pareggio, il ritorno si è giocato quasi ad una sola porta, anche quando il match si era messo in favore dei padroni di casa ed il City avrebbe dovuto fare di tutto per ribaltarlo.
Perfino nei minuti di recupero ad attaccare è stato il Real e la squadra inglese si è limitata ad aspettare il contropiede buono, che, ovviamente, non è arrivato.
Ultima pagina di cronaca di un 2016 iniziato all’insegna dell’annuncio del nuovo allenatore, Guardiola, e dunque mai iniziato con la rosa e lo staff attuali. Di fatto la stagione del City di Pellegrini ha vissuto quel momento come la fine di tutto. Che sarà mai un nuovo allenatore?
E’ capitato con esiti alterni in altre squadre, lo stesso Bayern, eliminato ieri dall’Atletico, ha saputo in anticipo dell’avvicendamento in panchina, ma ha comunque condotto a termine, o quasi, la cavalcata verso il Meisterschale ed ha lottato fino all’ultimo per raggiungere la finale di San Siro.
Il fatto è che annunciare Guardiola non è come annunciare un qualsiasi altro allenatore. Se normalmente si possono prevedere degli aggiustamenti tattici e a livello di organico, quando arriva Pep è rivoluzione totale.
I Citizens sono diventati immediatamente la squadra con la valigia pronta, il loro spogliatoio è la sala d’attesa d’un aeroporto internazionale, con i giocatori pronti ad essere impacchettati e spediti. E chissà quanti ne arriveranno.
La cosa più curiosa a questo punto è vedere come andrà a finire in Premier, perché i 4 punti, con una partita in meno, sullo United non garantiscono ancora alla parte celeste di Manchester l’accesso alla Champions dell’anno prossimo.
Passando alla sponda madridista, non c’è che dire, mission accomplished. Zinedine Zidane esordisce da capo allenatore dei Blancos portando la squadra a giocarsi Liga e Champions fino alla fine ed è già molto, figurarsi dovesse vincerle entrambe.
Dobbiamo, però, evidenziare che in campo l’altra compagine di Madrid, l’Atletico, è molto più solida e unita. Se la comunione di intenti e la parità dei ruoli è la forza del gruppo di Simeone, nel Real le gerarchie sono evidenti e ci sono giocatori che contano di più e giocatori che contano di meno.
Prendiamo ad esempio il tridente di stasera: Bale, Jesè, Cristiano Ronaldo. L’assenza di Benzema costringe Zidane a giocare con tre ali davanti. Bale preferisce giocare a destra e là si piazza, CR7 decide di volta in volta: se l’azione si sviluppa in maniera buona per giocare sulla sinistra, si allarga sulla fascia, se il pallone tende ad arrivare alla punta, scatta in profondità centralmente. Il povero Jesè, ultima ruota del carro, non può far altro che adeguarsi e coprire le zone in cui non vanno gli altri.
E’ una logica che in un gioco di squadra può far storcere il naso a molti, figuriamoci agli ormai soprannominati “cholisti” (catenacciari a voler essere vintage), ma se i solisti si chiamano Cristiano Ronaldo, Bale, Benzema, beh, questi possono anche decidere la partita mettendosi in proprio.
Sarà un altro scontro filosofico quello che ci attende nella finale di San Siro col pepe della rivincita dopo due anni dalla finale di Lisbona ed il comun denominatore con le edizioni precedenti e l’Europa League che si chiama Spagna.
Sarà la terza Champions consecutiva per gli iberici, quarta in 7 anni, mentre domani le semifinali di Europa League potrebbero sancire il poker spagnolo qualora il ritorno confermasse i vantaggi accumulati all’andata da Siviglia e Villarreal, in una competizione vinta due volte a testa da Atletico e Siviglia negli ultimi sei anni.
E’ un dominio. Il crollo della serie A, l’incapacità dei tedeschi di offrire un’alternativa al Bayern, la pochezza in Europa dei grandi team britannici stanno regalando ai sudditi di Re Filippo di Borbone la supremazia continentale.
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