L’Intervista – Jonatas Miranda: il brasiliano giramondo ci racconta il Medio Oriente… E non solo

Intervista Miranda Oman

In Brasile il calcio è una ragione di vita, la stessa che Jonatas Miranda ha sposato fin da bambino. Mentre cresce per le strade della sua città, tra un sfida e l’altra, all’età di soli 6 anni la famiglia decide di indirizzarlo verso una società che sappia plasmare il suo talento in erba. Il piede è quello dei grandissimi: con quel mancino ha deliziato molti tifosi in giro per il mondo.
Nell’ultima stagione, da gennaio a maggio 2015 ha militato nell’Al Wahda Club, squadra di seconda divisione dell’Oman. Al momento dell’arrivo di Jonatas, la squadra era 13°, vale a dire penultima; a fine campionato si è classificata 9°, raggiungendo così una tranquilla salvezza. TuttoCalcioEstero.it ha avuto il piacere di intervistare Jonatas per saperne di più sulla sua vita da giramondo.

 

Allora Jonatas, come ci sei arrivato in Oman?
“Un procuratore, che è una mia vecchia conoscenza, mi ha fatto la proposta e io mi sono detto: ‘E’ un paese nuovo, la proposta economica mi soddisfa; perché no?’. Ad onore del vero ci tengo a precisare che competere in questi campionati vuol dire ottenere una chance di poter giocare negli Emirati Arabi o in Qatar, dove gli stipendi quadruplicano. Parlando di cifre, si passa da una media di 3.000-5.000 dollari USA a 15.000-20.000 $”.

Qual è il livello del calcio in Oman?
“Il calcio è vissuto come un divertimento, è una sorta di secondo lavoro anche in prima serie. Circa il 65% dei calciatori omaniti ha un altro lavoro. Quindi, sebbene sia possibile vedere anche discreti valori tecnici, il calcio rimane dilettantistico. Ne sono una confermata i modesti risultati della nazionale…”.

Come sono gli impianti sportivi?
“Sono di ottimo livello, molto belli e accoglienti. L’unico problema è che, sebbene l’ingresso alle partite sia gratuito, raramente gli spettatori superano le 2000 unità. E’ evidente che manca la cultura per questo sport”.

Quanti stranieri militano nel campionato?
“Il 70% degli stranieri è africano. Ogni squadra ha diritto ha tesserare quattro stranieri, di cui uno dei paesi arabi dell’Asia. Nella mia squadra c’erano il portiere dello Yemen, un attaccante esperto del Mali con diverse esperienze anche in Egitto e Qatar e un difensore marocchino. Noi quattro eravamo gli unici ad allenarci a tempo pieno ed eravamo quelli su cui pendevano le maggiori pressioni. Era come se le responsabilità delle sorti della squadra fossero solo le nostre, dal momento che noi eravamo lì per motivi esclusivamente per motivi calcistici; ma a me questo non pesava, so bene che per essere dei grandi calciatori bisogna prendersi delle grandi responsabilità”.

Che rapporto avevi con l’allenatore? In quanto calciatore di valore, ti chiedeva qualcosa in particolare?
“Il mio allenatore era un ex calciatore che ha militato anche nella nazionale siriana. Come a tutti i giocatori del mio ruolo, mi chiedeva di fare la differenza.  In Oman, la maggior parte degli allenatori sono stranieri, visto che nel paese la cultura del calcio non è preponderante. Tuttavia sono quasi tutti arabi per alcuni semplici motivi: la lingua araba, la conoscenza dell’ambiente (molti di loro non hanno mai giocato in campionati fuori dal Medio Oriente) e forse, in maniera tacita, anche l’appartenenza religiosa”.


Che tipo di allenamenti praticavi?
“Gli allenamenti pomeridiani in gruppo erano abbastanza intensi mentre durante la mattina eravamo solo in quattro e, oltre che sul lavoro in palestra, potevamo concentrarci di più sugli aspetti individuali e sulla tecnica. Li apprezzavo molto perché credo che un calciatore affamato e motivato abbia sempre la possibilità di migliorarsi e affinarsi”.

Come comunicavi con tutto l’ambiente?
“Con il coach così come con i compagni di squadra comunicavo prevalentemente in inglese, aiutandomi con la gestualità, perché il calcio è un linguaggio universale”.

Nella vita di tutti i giorni ti sei trovato a tuo agio?
“In Oman sono molto cordiali ma ho percepito una sorta chiusura verso lo straniero sebbene la società avesse fatto di tutto per facilitare il mio ambientamento: mi avevano fornito un alloggio e una macchina. Non ho riscontrato una grande apertura d’animo tanto è vero che finita la partita, rientravo al mio appartamento, cosa molto strana per me, invece che uscire con i miei compagni di squadra per rifocillarci dalle fatiche del match”.

Quali prospettive ha di emergere un buon calciatore omanita?
“L’Oman è un paese di 3 milioni di abitanti, di cui un milione sono stranieri. La verità è che l’Oman è un paese ricco con molto benessere. L’inevitabile conseguenza è che i calciatori non sono affamati”.
Ti sei sentito sminuito in un campionato dove la competitività non era il massimo della vita?
“In realtà no, perché io gareggiavo anche contro me stesso, consapevole del fatto che ogni anno, 2 o 3 calciatori del campionato, vanno in Dubai”.

Quali sono i campionati esteri più seguiti?
“Oltre a quello spagnolo per il quale c’è una vera e propria ammirazione, anche i campionati del Qatar e degli Emirati Arabi affascinano”.

Jonatas raccontaci, prima dell’Oman, hai vissuto altre esperienze in giro per il mondo?
“Sì, l’anno scorso ho giocato nel PHANG NGA FC, una squadra della seconda divisione thailandese. Ho vestito quella maglia da febbraio a ottobre 2014. Nel 2011 comunque, avevo già conosciuto il campionato thailandese, avendo giocato per il GOBLEX FC”.

Come sei arrivato in Thailandia?
“Ho un cugino che gioca lì da sei anni; vive lì con la famiglia e si trova molto bene. Grazie ai suoi contatti sono riuscito ad ottenere un ingaggio, desideroso di affermarmi in questo campionato che rappresenta una finestra con vista su campionati più ricchi come quello cinese e giapponese”.

Com’è il calcio in Thailandia?
“Il calcio asiatico in generale è tenuto in grande considerazione. Loro hanno una grande venerazione per i campioni e i campionati europei. Il calcio thailandese è preso in maniera molto professionale da tutti i giocatori: si allenano due volte al giorno, sempre in gruppo e con grande intensità. Il campionato della Malesia e del Vietnam sono molto simili per valori tecnici e per caratteristiche”.

Jonatas in Thailandia
Jonatas in Thailandia

Qual è il livello del calcio thailandese?
“Ci sono calciatori con buoni livelli tecnici, molto rapidi e agili in virtù del loro fisico tutt’altro che ingombrante. Sviluppano il gioco con una grande rete di passaggi svelti ma hanno una sola grande pecca: sono degli scarsi finalizzatori”.

Hai avuto modo di apprezzare la vita sociale?
“In Thailandia confesso che mi sono divertito: sono delle persone molto accoglienti e molto socievoli. Ho avuto modo di integrarmi rapidamente grazie anche all’appoggio della società che mi ha fornito un alloggio e un mezzo di trasporto, una moto (e sorride); eh si, perché questa è la loro cultura”.

Qual è lo stipendio medio di un calciatore in Thailandia?
“In linea di massima la paga è simile all’Oman, solo che in Thailandia la vita è molto meno cara”.

Cosa ci dici riguardo agli impianti sportivi?
“Sono degli impianti capienti ed efficienti. Gli stadi sono sempre pieni, si arriva quasi sempre almeno a 8.000 unità anche in seconda divisione. La gente ti adora se nota che dai tutto per i tuoi colori di club”.

Parliamo di te. Come ti sei innamorato del calcio? Dove sei Cresciuto?
“Sono cresciuto a Eunápolis, una città di poco più di 100 mila abitanti nello stato di Bahia. Lì, come in tutto il Brasile, è consuetudine giocare per strada ed è lì che ho acquisito molte delle mie abilità. Poi la mia famiglia, quando avevo sette anni, mi iscrisse in una squadra di futsal. Ho praticato il calcio a 5 fino all’età di quindici anni. Ma già dall’età dei tredici anni avevo cominciato a cimentarmi anche con il calcio. Le mie caratteristiche e le prospettive migliori indussero mio padre a consigliarmi in questa direzione”.

Quanto ha contribuito il calcio a 5 a renderti il calciatore che sei oggi?
“Molto direi. Il controllo della palla in condizioni di pressione e il dribbling negli spazi stretti sono qualità che si migliorano molto rapidamente. Il futsal mi ha regalato la sicurezza che ancora oggi mi conforta alla vigilia di sfide calcistiche importanti””.

Con punizioni rigori che rapporto hai?
“Molto buono direi; in quasi tutte le squadre i cui ho militato ero il principale incaricato. Sono contento di mettermi in mostra e di prendermi le responsabilità, la gente si aspetta questo dai brasiliani”.

Qual è stata la tua prima esperienza fuori dal Brasile?
“Quando avevo 19 anni Erasmo Santos, un allenatore brasiliano emergente, mi convinse a giocare nella prima divisione del Senegal. Accettai la sua proposta al fine di poter disputare la Coup d’Afrique, l’Europa League del continente africano. Questa esperienza mi ha arricchito dal punto di vista umano e professionale. In particolar modo questo allenatore mi insegnò l’inutilità del dribbling quando esiste un passaggio disponibile”.

Jonatas Miranda durante l'intervista
Jonatas Miranda durante l’intervista

In chi ti rivedi?
“Apprezzo molto Hernanes, il suo carisma mi ispira molto. Come lui mi piace inserirmi, fornire assist e fare da raccordo tra il centrocampo e l’attacco. Tuttavia sono anche un giocatore di stampo europeo, dinamico, a cui piace il gioco maschio e pragmatico, esattamente come il numero 8 nerazzurro”. 

Chi è il tuo idolo?
“Apprezzo moltissimo Luis Nazario da Lima Ronaldo, in primis per la carriera che ha fatto, arrivando ad essere due volte campione del mondo, ma soprattutto per la sua capacità di riprendersi ogni volta dopo un infortunio grave.
Infine, le cose che ho visto fare in campo a Ronaldinho Gaucho che non le ho mai visto fare a nessun altro. Lui è un altro idolo“.

Che rapporto hai con la religione?
“Sono cristiano e prego Dio ogni giorno. Dio mi avvicina di più al senso della vita e mi dà la forza di superarmi ogni giorno”.

Quali sono i tuoi progetti a breve termine?
“Mi piacerebbe giocare in Italia, per restare vicino a mia moglie e a mia figlia; a condizione che ci sia un solido progetto al quale votarmi”.

Sei ancora giovane, dove lo vedi il tuo futuro?
“Ho tanti contatti nel mondo del calcio, amo questo sport; ho intenzione di rimanerci anche dopo la conclusione della mia carriera agonistica”.

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