Il calcio sfogliato – ‘Azzurro Tenebra’ di Giovanni Arpino

Germania 1974, probabilmente la manifestazione che ha decretato l’ascesa del calcio moderno. Il mondiale che ha segnato la fine dell’era del grande Brasile di Pelè e Garrincha per lasciare il posto alla rivoluzione tattica portata dagli olandesi.

Gli anni ’70 iniziarono all’insegna del calcio totale del grande Ajax di Cruijff, i lancieri puntando su un gioco innovativo e estremamente dinamico si impongono con forza nel panorama europeo vincendo ben tre coppe campioni consecutivamente, battendo in finale sia Inter che Juventus. Quell’Ajax è stata certamente la squadra che più ha influenzato il football moderno, ma ogni storia giunge a un capolinea, in questo caso, segnato dalla cessione di Crujiff al Barcellona. L’Olanda tornò a giocare una manifestazione mondiale dopo le magre apparizioni del 1934/38, guadagnandosi la finale poi persa contro la Germania Ovest guidata da Beckenbauer, fu una partita che mise a confronto i due più grandi giocatori di quel tempo, da una parte El Kaiser, mente tacita e razionale di una squadra ordinata e estremamente rigorosa, dall’altra Cruijff, artefice di un movimento rivoluzionario.

beckenbauer crujiff

L’edizione del ’74 sarà ricordata per tante altre storie, come quella dello Zaire di Mobuto, alla sua prima apparizione assoluta in un mondiale, culminata poi in una tragedia. Gli africani persero tutte e tre le partite provocando le ire del dittatore. L’ultimo match contro il Brasile era questione di vita o di morte, Mobuto poteva accettare una sconfitta con massimo tre gol di scarto, altrimenti i giocatori dello Zaire e le loro famiglie avrebbero subito conseguenze inimmaginabili. Emblematico è l’immagine di Mwepu che si stacca dalla barriera calciando la palla lontano prima del fischio dell’arbitro, l’episodio provocò fragorose risate e un cartellino giallo, ma nello sguardo esterrefatto del giocatore si nascondeva molto di più, i verdeoro erano già avanti di tre reti, non potevano battere quel calcio di punizione.

C’è anche la nostra storia, meno appariscente, raccontata splendidamente da Giovanni Arpino nel suo “Azzurro Tenebra”, romanzo pubblicato nel 1977 che non ricevette le lodi dovute, in quanto subì l’onta dell’etichetta sportiva, quando in realtà l’opera è la storia di una nazione che fa del calcio metafora di vita. Divenuto un oggetto di culto, quasi introvabile nelle librerie, viene ristampato solamente nel 2007 da Einaudi.
Arpino, uno dei più grandi scrittori di quegli anni si trovava in Germania per seguire la nazionale italiana per conto de La Stampa. Il suo non è affatto una semplice cronaca degli eventi che portarono a una clamorosa eliminazione, Azzurro Tenebra è un romanzo filosofico e profondamente riflessivo nel quale i personaggi hanno un linguaggio alto e profondamente ironico, proprio il loro modo di parlare, di Arp, del Vecio (Enzo Bearzot) e di Bibì (Bruno Bernardi, cronista e collega dell’autore) catapulta il lettore indietro in quei tempi che non ci appartengono più. Il calcio e un buon risultato della nazionale italiana possono scacciare via i problemi che in quegli anni attanagliavano il paese, fra crisi di governo (sempre ricorrenti) e lo sfogo del terrorismo nella lotta perpetua fra fazioni politiche.

“Viva la stampa italiana. E’ vero che sta per cadere il governo? E’ vero che a Milano tirano le bombe? Scriva bene dei nostri dottore, scriva bene di Giorgione (Chinaglia)”

Proprio Arp aveva intuito che qualcosa non andava: una profonda crisi all’interno della nazionale italiana, già ravveduta nei dialoghi con il Vecio e  Facchetti nelle prime battute del romanzo. Problematiche non ravvedute dalla stampa che l’autore si diverte a sbeffeggiare, suddividendo i propri colleghi in Belle Gioie, le quali sperano in un successo della squadra per ridare entusiasmo alla popolazione, e Jene, sospinte da un sentimento ostile e alla costante ricerca di uno scandalo per alimentare le polemiche.

Il popolo era convinto di poter ripetere la grande cavalcata di Messico ’70, non mancava nulla per poter sperare, l’imbattibilità di Don Dino (Zoff) fra i pali della nazionale, le sgroppate di Giacinto sulla fascia, il talento irrefrenabile del Golden Boy e la foga di Giorgione.

“Scandalo nell’Italia pallonara, hai pronta la grancassa? Tanto non riceveranno pomidori in faccia. Costano troppo. Occhio ai titoli, in cinque giorni fra Argentina e Haiti può scattare la tragedia.”

Una tragedia che si consumò a Stoccarda contro la Polonia, dove gli azzurri uscirono sconfitti per 2-1. E’ la fine di un sogno e di un ambizione per un Italia che si ritrova così svuotata di ogni sentimento attraverso lo sfogo di un tifoso incontrato da Arp:”Boia d’una bestia, tigre malcagnata. Uno parte dal paese per vedere il Golden Boy, vedere quel dio. Se va in campo, se c’è, non vuole, quel dio. Proprio perché è un dio: i miracoli che hai dentro non escono a comando. Io lo capisco. Se però non c’è diventa destino porco universale”.

Lo stesso autore una volta tornato in Italia e consumato lo sfogo dell’opinione pubblica si sente svuotato d’ogni sentimento, ben consapevole che il paese ha bisogno di essere ricostruito e evolversi in una nuova forma, nell’ambito sociale e sportivo. Metafora di tale problematica sono le diatribe fra Arp e il collega Grangiuàn, se il primo ravvede nel dinamismo dei tulipani una via di fuga dalla staticità che dilania il paese, l’altro continua a insistere con la filosofia catenacciara, ostacolando il calcio come metafora di vita, ovvero una danza continua alla ricerca di uno spazio nel quale poter correre liberamente e rinascere.

Rinascita che Arp affida al Vecio nelle ultime battute del romanzo: “Solo tu possiedi la stoffa del missionario. Solo tu accetterai quattro soldi per offrire la pelle al popolo tifoso. Certo, dovrai mangiare una montagna di merda. Un Himalaya. Sai vedere oltre questo Himalaya fetente?”

L’autore

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Nato a Pola il 27 gennaio del 1927, Giovanni Arpino dopo essersi laureato all’Università degli Studi di Torino, esordisce nel 1951 con il romanzo: “Sei stato felice, Giovanni” pubblicato da Einaudi.
Fa conoscere in Italia l’autore argentino Osvaldo Soriano e vince il Premio Strega nel 1964 con L’Ombra delle Colline. Il Premio Moretti d’oro con il Buio e il Miele (1969) e il Premio Campiello nel 1972 con Randagio e l’Eroe.
Per conto del La Stampa segue i mondiali tedeschi del 1974 -che portarono alla pubblicazione di Azzurro Tenebra nel ’77- e quelli argentini del 1978.
All’inizio degli anni ’80 collabora con Il Giornale dove si occupa di cronaca e cultura.
Morì a Torino nel 1987, ricordato da molti come uno dei scrittori più influenti dell’epoca.

I tempi cambiano, in peggio. L’editoria italiana negli ultimi anni latita su nomi sterili di cui è molto difficile legger anche una sola pagina. Proprio il Premio Strega (che celebrò Arp nel ’64 Paolo Volponi l’anno successivo e pure Umberto Eco, per citare alcuni celebri nomi) è l’emblema di un declino che non conosce fine. Scava Lazzaro, scava. Se nei decenni passati era una onorificenza che spettava alle più grandi menti letterarie del tempo, ora è un gioco fra case editrici per dare slancio a un mercato sempre più povero. Ultimo vincitore è stato un certo Nicola Lagioia con il “romanzo” (si fa per dire) “La ferocia”. Il sempre geniale Pippo Russo definisce quell’abbozzo di parole come “Anatomia di un Radical Flop” (leggi qui). Citiamo solo un passaggio della sua irriverente critica: “Interrogativi su interrogativi, in cima ai quali se ne staglia uno a fare da capofilia: ma come si può scrivere così male? E farlo con passione e perizia pari a quelle squadernate da Nicola Lagioia? Sono necessari uno zelo e una voglia di raggiungere l’obiettivo che tanto da vicino mi ricordano l’agente immobiliare interpretata da Annette Bening in “American Beauty”, quando dice a se stessa: “Oggi venderò questa casa”. E ci dà dentro a pulirla da cima a fondo. Allo stesso modo immagino Nicola Lagioia che s’alza la mattina dandosi la missione del giorno: “Oggi voglio scrivere male, ma proprio male-male-male”

 

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Sono nato a Urbino il 2 maggio 1991. Nel luglio 2015 ho conseguito la laurea in Chimica e tecnologie farmaceutiche. Mi occupo di giornalismo sportivo con un'attenzione particolare al lato economico e allo sviluppo del calcio in Cina, che approfondisco nel mio Blog Calcio Cina. Nel febbraio 2016 ho pubblicato il mio primo libro: IL SOGNO CINESE, STORIA ED ECONOMIA DEL CALCIO IN CINA, il primo volume, perlomeno in Europa a trattare questo argomento. Scrivo anche di saggistica (sovversiva) per kultural.eu

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