Il ghigno alla Jack Nicholson in Shining, film horror degli anni 80, è riservato solo agli arbitri o al quarto uomo che cerca di impedirgli le eruzioni in panchina. Per il resto, Jürgen Klopp usa sorrisi illuminati e spesso sonori prima di rispondere: è il suo modo di mettere a fuoco interlocutore e tema. «La nostra filosofia è quella del calcio vivo», spiega l’allenatore dopo averti chiesto la nazionalità. Tipo: a che pubblico dovrò raccontare i segreti del mio Borussia? «Calcio vivo significa veloce, capace di arrivare in porta in pochissimo tempo, senza tenere troppo il pallone. Abile a dominare l’azione col senso tattico. Corsa, qualità, precisione». Virtù che i gialloneri possedevano già nella passata stagione, quando però arrivarono ultimi in un eurogirone più semplice: Arsenal, Marsiglia, Olympiacos. Stavolta hanno vinto in anticipo quello con Real, Manchester City e Ajax. Che cosa è cambiato? «Siamo più efficaci, non abbiamo più bisogno di tante palle gol per una rete, sappiamo difendere in modo diverso. Prima attaccavamo l’avversario “alti”, ma se falliva il pressing, subivamo nel ripiegamento, eravamo troppo passivi. Ora se difendiamo bassi siamo più bravi a rubare palla e a trasformare la ripartenza in azione gol». Per chi non ha mai visto il Borussia significa: corsie laterali tagliate da locomotive come Piszczek, Schmelzer, Grosskreutz; scambio continuo sulla linea dei trequartisti, cioè Reus, Götze, Blaszczykowski, Perisic possono mettersi centrali o esterni senza perdere spessore; un terminale affidabile, Lewandowski come prima Barrios (39 gol a testa in campionato). «L’esperienza del gruppo vale più di quella del singolo» o «le posizioni devono essere conosciute da tempo» sono altre regole di Klopp. Tradotto: formo il nucleo e lo ritocco pochissimo. La squadra del primo titolo aveva l’età media più bassa della storia (23,9), era costata 16 milioni perché il Borussia arrivava da un rischio fallimento, è stata cambiata di un nulla e le cessioni erano necessarie per il bilancio: via Barrios dentro Lewandowski; Sahin al Real per Gündogan; Kagawa allo United rilevato da Reus, pagato sì 17 milioni ma quest’estate, regime di nuova ricchezza. L’attivo di bilancio deriva anche dall’aumento delle sponsorizzazioni (60 milioni), dal record di maglie vendute (350 mila), dal costo contenuto del personale (74 milioni, la metà rispetto al Bayern). Così si può investire anche un milione in un sistema di addestramento all’avanguardia: la Footbonaut, una stanza quadrata costruita al centro sportivo del club. In mezzo un campo di 14 per 14, sulle pareti 8 bocche sputa-palloni a una velocità tra 100 e 120 km orari. Il giocatore, in tempo limitatissimo, deve controllare la palla e infilarla negli spazi che si illuminano alle pareti. Appena finito, un fischio annuncia il nuovo lancio, ad altezza regolabile. Klopp fu chiamato dall’inventore nella primavera 2011, disse subito sì. «Migliora velocità, tecnica e reazione». La Champions ha cambiato anche Klopp: in panchina veste abiti eleganti e anche la cravatta, international chic. In Bundesliga non rinuncia a felpe col cappuccio, tute e un cappellino nonostante la frangia corposa: oltre la visiera c’è scritto Pöhler, non è una ditta di infissima uno slang del posto che significa più o meno «giocatore di strada». Perché il suo Borussia si comporta come i ragazzi nei vicoli: corre, scarta, tira, segna. La testa è forse l’unica parte che non è sponsorizzata: JK pubblicizza auto e banche, tv e rasoi. È arrivato dal Mainz nel 2008, dopo una vita in quel club, prima difensore (325 presenze, ma zero in Bundesliga), poi allenatore-giocatore e solo in panchina. Dalla quasi serie C all’Europa. Giovane, affamato, con stipendio basso: era perfetto per il Borussia convalescente. Ora dopo l’inarrestabile raccolta di titoli, il record di 81 punti in Bundesliga, le 31 gare senza k.o., è un divo che non se la tira. Kloppo du Popstar è l’inno che gli hanno dedicato e che lui canta fino a perdere la voce nelle feste; il ragazzino che tifava Stoccarda è un ex ragazzo di 45 anni che piange nello spogliatoio quando uno dei suoi leader se ne va (Kagawa), si fa buttare nel lago dai suoi dopo una massacrante corsa nei boschi del ritiro, assiste in silenzio al «cerchio» nello spogliatoio, quando il capitano Kehl, quasi sempre infortunato, trasmette alla squadra l’urlo motivante. La Champions amplifica e allarga i confini del consenso: il Borussia è ora una squadra cult che attrae Mourinho come Guardiola, Buffon come Mancini. L’Europa che conta non risparmia i complimenti, sperando di non trovare i borussiani nella strada per la Champions.
Fonte: Extratime, Gazzetta dello Sport
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