La presunzione di Robinho, le scuse di Dunga, Thiago Silva recidivo: Brasile shock

Non sarà probabilmente il peggior Brasile della storia (ma ci va vicino) come in telecronaca affermava Jose Altafini; di certo i verdeoro stanno abituando a figuracce che hanno minato il mito di una nazionale leggendaria, da troppi anni alla ricerca più che di campioni e fuoriclasse della sua identità. Dal 2007, anno dell’ultima vittoria proprio in Coppa America, nell’edizione giocata in Venezuela e chiusa dallo strepitoso 3-0 in finale rifilato all’Argentina, una serie di figuracce: l’eliminazione nei Mondiali in Sudafrica per mano dell’Olanda in una partita condizionata dalle papere di Julio Cesar, sconfitta ai rigori col Paraguay nei quarti della Coppa America 2011 in Argentina, l’ormai leggendario Mineirazo che sancì con un clamoroso 1-7 contro la Germania la fine del sogno Mondiale in casa nel 2014, il bis col Paraguay, ancora ai quarti ancora ai rigori, ieri sera.

Figuracce, appunto. Ma è il dopo-partita a lasciare paradossalmente più perplessi. Il Brasile resta a parole una big nonostante lo stesso Altafini ripeta che è ormai una squadretta da periferia, quello che insomma pensiamo un po’ tutti da qualche anno. Scorrendo in rapida successione, e in attesa che i media brasiliani si scatenino, sono da sottolineare le parole di Robinho e Dunga. Il primo, pochi istanti dopo il fischio finale: “Con tutto il rispetto per il Paraguay ma questa non è una gran nazionale”. Intanto l’ex Milan prende e porta a casa, altra eliminazione per mano dell’albirroja. Dunga, poi, si esibisce in un commento che farebbe impallidire anche Walter Mazzarri: “Non è una scusa, ma 15 giocatori erano alle prese con un virus”. Se non è una scusa, perché riferirlo ai microfoni? Roba da squadretta di periferia.

E da difensore di squadretta di periferia si è comportato anche Thiago Silva, colui che insieme a Neymar può essere considerato come il vero fuoriclasse di questa nazionale. L’ex Milan ha regalato il rigore del pareggio al Paraguay con un intervento scellerato di mano, che ha ricordato quello contro il Chelsea, in Champions League, con la maglia del Psg. Il simbolo del crollo. Dov’è finito il Brasile? Dov’è finita l’unica nazionale che se ti batteva riusciva comunque a strapparti un sorriso per l’allegria del suo calcio?

Alfonso Alfano

Sono Alfonso Alfano, 32 anni, della provincia di Salerno ma da anni vivo in Spagna, a Madrid. Appassionato di sport (calcio, tennis, basket e motori in particolare), di tecnologia, divoratore di libri, adoro scrivere e cimentarmi in nuove avventure. Conto su svariate e importanti esperienze sul Web.

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