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Un italiano dal cuore russo: quanta sofferenza all’Olimpico di Torino

C’era una volta un italiano. No, non è l’inizio di una barzelletta, ma una storia che val la pena raccontare. Dicevamo, dunque. C’era una volta un italiano, uno un po’ strano e un po’ particolare, che, nel tempo libero, amava seguire il calcio russo. E quest’italiano, un po’ folle, sperava da tempo di poter vedere una squadra russa in Italia, meglio se a Torino, per sua comodità, poco gli importava se fosse la prima o l’ultima della classe. E a volte, si sa, i desideri vengono realizzati: così, dopo mesi di attesa, un giorno, un altro italiano, un po’ pelato, ed un ex portiere polacco, da una pallina magica, estraggono un accoppiamento speciale: Torino – Zenit San Pietroburgo.

Sembra una favola all’italiano strano, che – di corsa – appena possibile compra i biglietti. In tribuna granata, due passi dalla zona stampa, un posto dove poter soffrire in silenzio perchè, il 2-0 dei suoi russi, ottenuto nella lontana terra degli zar, può comunque essere ribaltato. Il clima è amichevole, i tifosi delle due squadre si scambiano sciarpe e saluti al di fuori dell’Olimpico. Dentro, invece, cominciano arrivare i vip: il giornalista Zimmermann, il commentatore Orlov, gente che solo lui – e pochi altri – conoscono. Due parole con Luca Comito e Alberto Farinone (curatori della parte italiana del sito dello Zenit San Pietroburgo), e la partita può iniziare: 28.000 spettatori agitano le loro sciarpe granata al vento al risuonare dell’inno della squadra. Da applausi. Un po’ meno lo è il primo tempo: tante perdite di tempo da parte dello Zenit, qualche errore nella gestione dei cartellini dell’arbitro, uno 0-0 inevitabile.

L’italiano strano tira un sospiro di sollievo. Non ha dovuto esultare da solo in mezzo a centinaia di persone, ma nemmeno vederli gridare tutti quanti. Si prende dieci minuti di relax, una foto con il portiere Vyacheslav Malafeev (attualmente infortunato), prima di vedere la sfida ricominciare. Il Torino spinge, lo Zenit soffre, l’italiano con esso: si toglie le pellicine dalle unghie, annoda continuamente la sciarpa. I granata segnano, l’arbitro annulla e il folle si calma. Il tempo scorre, Lodygin si immola sugli avversari. Poi arriva l’85’: Glik segna di testa l’1-0 e al Torino basta un goal per mandare la sfida ai supplementari. I sei minuti di recupero sono un macigno pesante quanto quello di Tantalo, ma scorrono via, lenti e rapidi allo stesso tempo. Alla fine vincono tutti: lo Zenit passa il turno, il Torino si prende gli applausi di tutto lo stadio che canta ed applaude i suoi beniamini, in una scena che – di calcio italiano – ha ben poco; e l’italiano strano, che ha finalmente visto dal vivo una russa. Tutti (o quasi) felici e contenti. Come in una vera e propria favola.

Matteo Mongelli

Classe '94, piemontese di nascita, tra un esame universitario e l'altro segue il calcio alle temperature più improbabili, dalla Scandinavia alla vecchia terra degli Zar. Russofilo e (a breve) russofono, sogna di diventare direttore sportivo e di vivere a San Pietroburgo. Guai a disturbarlo quando gioca il Krasnodar: potrebbe uccidere.

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Matteo Mongelli

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