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Romanzo Supercoppa: l’ultimo bacio di Pedro, il coraggio di Banega e del Siviglia

Lo dicevano con enfasi, e con piena ragione, i commentatori della tv spagnola: questa della Supercoppa è stata una delle più belle finali di sempre. Il manifesto del dominio spagnolo in Europa: negli ultimi 10 anni, dei 30 titoli continentali disponibili, 17 sono stati di marca iberica. Segue l’Inghilterra con 4: superiorità quasi imbarazzante e sì basata sulle big Barcellona e Real Madrid (come se poi in altri paesi non esistessero club dello stesso rango), ma anche sulla costanza di Siviglia e Atletico Madrid. E’ mancato il Valencia, che pure a inizio millennio arrivò per due anni di fila in finale di Champions. Insomma, i detrattori della Liga e di tutta la filosofia calcistica spagnola, che pure hanno ripreso fiato dopo il fallimento dell’ultimo Mondiale (come se Inghilterra e Italia avessero fatto meglio), si riducono ogni giorno di più. Perché è chiaro che non regge nemmeno più la favoletta delle “difese non top”: neppure dopo un 5-4 sfavillante come quello di ieri sera tra Barcellona e Siviglia, ci si azzarderebbe a fare un commento del genere. Perché si è giocato a calcio. Perché, praticamente in ogni campo di periferia dei nostri “cugini”, mai così lontani come in questo decennio, si vuol giocare a calcio. Perché è semplicemente imbarazzante il confronto, contorno televisivo a parte, con Shanghai, dove si sono affrontate la squadra italiana più forte degli ultimi anni, la Juve, contro quella che l’anno scorso si dice abbia espresso il miglior calcio nei nostri confini (qualcosa di molto soggettivo, ma meglio non soffermarsi), la Lazio.

Luis Enrique fa poker, gli mancano due coppe (Supercoppa di Spagna e Mondiale per Club) per completare il Grande Slam. L’ex tecnico della Roma, al contrario di illustri predecessori sulla panchina blaugrana, fa di tutto per NON risultare simpatico alla stampa. Ieri sera, poi, ha negato un po’ a tutto l’ambiente culé il saluto a Pedro. Almeno nelle intenzioni. Perché anche se in panchina per 90 minuti, nonostante l’assenza di Neymar, quello che una volta chiamavano Pedrito e che in fretta ha tolto il diminutivo/vezzeggiativo dal suo nome, è entrato e ha messo la firma sul gol-vittoria. Un romanzo nel romanzo. Poco prima della gara, veniva confermata direttamente da un dirigente del Barcellona, la volontà del nazionale spagnolo di cambiare aria (del Manchester United sanno anche le pietre). Lui, l’uomo delle finali (in quelle del 2009 segnò sempre), si è preso la scena dopo una partita semplicemente folle. Mascherano, nell’immediato dopo-gara, è stato esplicito: “Il Signore gli ha donato la qualità di essere decisivo quando serve”.

La favola di Pedro ha oscurato, ma non cancellato, quanto accaduto nei precedenti 100 e passa minuti. Dalle tre punizioni vincenti di Banega e Messi, al coraggio commovente del Siviglia. La parola coraggio, d’altronde, veniva ripetuta spesso nel vecchio inno del club andaluso. E se ti trovi sotto 4-1 contro i campioni di tutto, di fronte a un palcoscenico di risonanza mondiale, e con tutto il secondo tempo da giocare…di coraggio te ne serve a bizzeffe. Coraggio di inseguire il sogno, di non badare solo a limitare i danni come la maggior parte delle squadre avrebbe fatto. Coraggio di aggrapparsi a Ever Banega, uno che quando esploderà sul serio sarà sempre troppo tardi. L’argentino, gol a parte, ha preso per mano i suoi, ribaltando l’esito del duello a centrocampo con l’ex Rakitic. Da 4-1 a 4-4, dal 5-4 al possibile 5-5 fino al minuto 122. Coke e Rami hanno illuso, Banega si spera abbia finito di illudere. La sua nuova carriera può cominciare adesso. Come quella di Pedro.

Alfonso Alfano

Sono Alfonso Alfano, 32 anni, della provincia di Salerno ma da anni vivo in Spagna, a Madrid. Appassionato di sport (calcio, tennis, basket e motori in particolare), di tecnologia, divoratore di libri, adoro scrivere e cimentarmi in nuove avventure. Conto su svariate e importanti esperienze sul Web.

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