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FOCUS ON: Dinamo Mosca: la squadra che voleva essere grande e che rischia di ritrovarsi piccola

Quando si parla di Russia, uno dei primi nomi che saltano alla mente dell’appassionato di calcio medio è Anzhi. Anzhi come simbolo di Russia, paese dai tanti soldi e dalla poca programmazione. Anzhi come simbolo di quei club che, da un giorno all’altro, passano dalle stalle alle stelle, e poi viceversa.

Ad oggi, però, a rischiare di fare la stessa fine dell’Anzhi è la Dinamo Mosca. Sorpresa della scorsa Europa League (eliminata soltanto dal Napoli), un progetto importante che avrebbe previsto l’ex formazione del KGB divenire, negli anni, una delle prime formazioni russe nonchè competitiva anche in Europa. Gli innesti di giocatori come il francese Valbuena, la costruzione della splendida VTB Arena, gli investimenti fatti sul settore giovanile sembravano spingere verso quella direzione.

Ma il giochino si è rotto. L’esclusione dall’Europa League dopo il cosiddetto break-even del Financial Fair Play (su cui ci sarebbe molto da discutere, ma di cui ci siamo occupati e ci occuperemo in altri pezzi) ha portato la dirigenza del club ad un profondo arresto del tutto. Le dimissioni del presidente Boris Rotenberg hanno portato alla chiusura totale dei rubinetti verso il club moscovita, che è così passato dal programmare acquisti di rilievo (su tutti quello di Andrè Pierre Gignac) ad operare una smobilitazione vera e propria.

L’addio del tecnico Cherchesov e il ritorno sulla panchina di Kobelev (già dg del club) ha avuto come punto di partenza l’epurazione di gran parte degli stranieri. Nel giro di poche settimane, giocatori come Buttner, Vainqueur e Dszudszak hanno visto il loro ruolo ridimensionato, passando da titolari certi a riserve di mediocri ragazzini come Morozov e Zobnin, titolari esclusivamente per via del loro passaporto, risultato di un tentativo di isolamento calcistico da troppo tempo imperante in Russia, il cui simbolo è il Ministro dello Sport Mutko, promotore di un folle restringimento del numero di stranieri nella RPL (massimo 10 in rosa, massimo 6 in campo) e che, nelle scorse settimane, ha delirato, auspicandosi una “Russian Premier League in cui possano giocare solo e soltanto giocatori russi. Nessuno straniero.”

A salvarsi sono stati Hubocan e Valbuena. Se il primo potrebbe restare, il secondo ha già le valigie in mano, un volo per la Francia prenotato, destinazione Lyon. Una perdita grave, non solo per la squadra – che si vedrà privata della ormai poca qualità rimasta – ma anche per l’intero campionato, che perde uno dei propri migliori giocatori dopo soltanto una stagione. A seguirlo saranno gli altri stranieri: Douglas (Portogallo o Turchia), Samba (Turchia?), Buttner (Inghilterra o Germania), Vainqueur (ha estimatori in Francia) e Dszudszak (un paio di settimane fa pareva fatta con il Besiktas), nel segno di una russizzazione ed un conseguente indebolimento della squadra.

Andranno tenute d’occhio anche le posizioni delle stelle locali però: Kokorin su tutte. Il ragazzo, preoccupato dalla situazione della squadra, ha già chiesto alla dirigenza la cessione. Lo Zenit è pronto a fare follie per il ragazzo, garantendogli un posto da titolare in squadra ed uno stipendio faraonico. Denisov, Ionov e Zhirkov starebbero valutando la situazione. Un fatto curioso: i tre erano compagni anche nell’Anzhi, e tutti e quattro (insieme a Gabulov e Samba) lasciarono il Daghestan per andare in biancoazzurro all’epoca della serie di cessioni che portarono alla retrocessione il club di Kerimov. Difficile che lo storico club moscovita faccia la stessa fine, ma all’orizzonte si prospettano tristi ed incolori stagioni.

Matteo Mongelli

Classe '94, piemontese di nascita, tra un esame universitario e l'altro segue il calcio alle temperature più improbabili, dalla Scandinavia alla vecchia terra degli Zar. Russofilo e (a breve) russofono, sogna di diventare direttore sportivo e di vivere a San Pietroburgo. Guai a disturbarlo quando gioca il Krasnodar: potrebbe uccidere.

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Matteo Mongelli

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