Bernardo Silva, il piccolo Messi lusitano alla conquista dell’Europa

L’Europeo Under 21 che si sta giocando in Repubblica ceca verrà ricordato come il torneo della consacrazione calcistica per Bernardo Silva. Lui è stato il miglior giocatore del torneo fino a questo momento a dispetto della sua piccola statura e dei contrasti che da bambino non vinceva mai. La classe fulgida ha avuto la meglio sul calcio prosaico e muscolare. Ebbene sì, perché non è evidente, quando si è bambini, riuscire ad emergere se le doti fisiche non ti supportano. Il piede è quello dei predestinati, il mancino, quello che incantò i selezionatori del Benfica il giorno del maxi provino. Un suo compagno di squadra, Guilherme Matos lo ricorda così: “Bernardo era il più piccolo, non vinceva un contrasto, non saltava, aveva paura dei duelli. Lo chiamavamo Cabeças perché aveva una testa grande per il suo corpo. Era fortissimo a calciotennis. erano lui e Ricardo Horta”. Quest’ultimo, uno dei giustizieri della Germania in quella che è stata la disfatta del biennio ai danni dei favoriti del torneo, sarà presente anche nella finale contro la Svezia.

Poi però si cresce e le cose cambiano. Il suo 1,73 m per 65 kg lo eleggono ancora come uno dei più piccoli del torneo. Cionostante bernardo Silva è il migliore, meglio del metronomo incontrista William (portentoso fisicamente) e meglio del nostro Domenico Berardi. Quando da bambini si è costretti a supplire alle inferiorità fisiche con la tecnica, se si è predisposti – intendo dire decisamente talentuosi – e si è affamati, si diventa quello che Lionel Messi è oggi. Non è un caso che Bernardo Silva sia chiamato “o Messizinho”, il piccolo Messi: va precisato, a dispetto dei tanti Messi che ogni nazione calcistica proclama, che non è uno dei tanti paragoni lanciati per attirare i riflettori. L’affermazione è fatta cum grano salis. Questo giocatore ha lo spirito giusto per affermarsi, l’umiltà necessaria per migliorare e la disciplina richiesta per non deragliare. Sì, perché insieme al talento, la differenza la fanno l’intelligenza e l’istruzione. In un’intervista a ammise che era grato ai suoi genitori per l’educazione impartitagli, cosa che comprende anche la disciplina. E lui studia dai grandi: i suoi idoli sono Zinédine Zidane (la ruleta la imita proprio da lui), Manuel Rui Costa (bandiera del Benfica) e Joao Moutinho (compagno di squadra al Monaco). Il suo controllo palla è eccellente e giocare nello stretto con tocchi rapidi e/o volanti sono il suo forte. Non è un caso che il Monaco ci abbia speso 15 milioni di euro per rimpiazzare un certo James Rodriguez. E non è tutto: l’investimento è stato effettuato sebbene il giocatore avesse giocato solo 30 minuti in prima squadra.

Tuttavia il Benfica gli rimarrà nel cuore e sulla pelle; ha ammesso infatti: “Non andrei a Porto e Sporting per tutti i soldi del mondo”. E per suggellare la sua devozione al club della capitale portoghese si è tatuato sul braccio il motto del club: “E pluribus unum” (“Da tanti, uno solo”).

Al primo anno in Ligue 1 ha segnato nove gol, niente male per uno della sua età. Rispetto al numero dieci colombiano che in Copa América è andato decisamente sotto le attese, il portoghese ha una maggiore propensione alla costruzione della manovra, esattamente come il suo idolo Moutinho. Tra le linee è inmarcabile: sia che decida di accentrarsi per il tiro sia che decida di andare sul fondo; d’altronde può fare affidamento sul suo dribbling irresistibile: in questo europeo è lui ad aver effettuato il maggior numero di dribbling.

Poi però succede quello che non ti aspetti: il giovane affronta il torneo con lo spirito giusto e finisce anche nella top 10 dei palloni recuperati. Encomiabile davvero.
Al controllar la palla, già la sposta e questo disorienta l’avversario. Abilissimo con entrambi i piedi, rapido e mobilissimo dal momento che corre molto anche per la squadra. Però, intervistato ammette qual è il suo miglior pregio: “Saper prendere la decisione migliore in campo al momento giusto”. Esattamente quell’intelligenza calcistica così difficile da allenare, ma così consona a chi ha la giusta apertura mentale. Essere un vero numero diez vuol dire tutto questo.
O menino detém talento, o equilìbrio delicado da arte perdida.

Italo Profice

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