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Shakhtar Donetsk-Bayern Monaco 0-0, sbadigli a Lviv: i minatori intrappolano l’armata teutonica

Lo Shakhtar per l’Ucraina – o quello che ne resta. Il Bayern per dimostrare di essere ancora nell’Olimpo delle più forti. A Leopoli (casa degli arancioneri da diversi mesi) va in scena una sfida sbilanciata – almeno sulla carta – sul piano dei pronostici, non per demeriti dei ragazzi di Lucescu, ma per troppa forza di quelli di Guardiola. Il calcio però è strano, e spesso i pronostici non vengono rispettati.

Moduli speculari, entrambe le squadre col 4-2-3-1. Shakhtar che dalla mediana in su schiera solo brasiliani: Luiz Adriano – a gennaio ad un passo dalla Roma – è il terminale offensivo, supportato da Taison, Alex Teixeira e Douglas Costa. Risponde il Bayern: Muller occupa il ruolo di falso nueve, Robben, Gotze e Ribery ad agire alle sue spalle. Solo panchina per il polacco Lewandowski.

Il primo tempo è godibile, le due squadre si equivalgono sul piano del gioco espresso. Gli ucraini pressano alto, costringendo i tedeschi a commettere più errori in fase di impostazione del dovuto (e del solito). I ragazzi di Guardiola rispondono cercando qualche conclusione dalla distanza dopo un paio di scambi nello stretto. I problemi per Pyatov sono zero, esattamente quanti quelli per il suo collega più forte del mondo.

La situazione resta la medesima nella ripresa, non cambia nemmeno quando i bavaresi restano in dieci uomini dopo che Xabi Alonso, all’ennesimo pallone perso, commette un altro fallo e finisce anzitempo sotto la doccia. E questo è paradossalmente l’episodio che chiude la gara: il Bayern sembra quasi accontentarsi dello 0-0, lo Shakhtar, visibilmente stanco dopo un’ora a ritmi altissimi, cala. L’ultima parte del match è un susseguirsi di imbucate intercettate, calcioni e cartellini dispensati da Undiano Mallenco; gli ingressi di Marlos Bonfim e Lewandowski servono solo per le statistiche. Il triplice fischio arriva dopo tre di recupero: chi va ai quarti, si deciderà all’Allianz Arena.

Matteo Mongelli

Classe '94, piemontese di nascita, tra un esame universitario e l'altro segue il calcio alle temperature più improbabili, dalla Scandinavia alla vecchia terra degli Zar. Russofilo e (a breve) russofono, sogna di diventare direttore sportivo e di vivere a San Pietroburgo. Guai a disturbarlo quando gioca il Krasnodar: potrebbe uccidere.

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