Villarreal, che diavolo ti succede?

Villarreal

Nella Plana Baixa sono in molti a chiedersi cosa stia accadendo al Villarreal, dopo un ritorno all’elitè del calcio in gran spolvero, la squadra di Marcelino sta deludendo le aspettative con un rendimento decrescente che, oltre ad essere inaspettato, sta evidenziando le paure di una squadra in crisi di risultati quanto di identità. Dopo il trauma della recente retrocessione gli spettri del purgatorio aleggiano intorno alla società a ogni striscia negativa, e stavolta la serie sembra più preoccupante del solito. Da quando Marcelino si è seduto sulla panchina groguet (gennaio 2013) non aveva mai perso tre gare di fila, ovvero quel che è appena successo prima del pareggio di domenica con l’Espanyol (cioè Siviglia, Valencia e Zurigo). Basterebbe già questo dato per capire il momento recedente della squadra, ma la classifica – nonostante parli di un discreto ottavo posto in solitaria – dice anche che la distanza dalla zona europea coincide con quella della zona retrocessione: ovvero sei punti. Insomma il disperato Athletic Bilbao che ha a lungo flirtato con le sabbie mobili degli ultimi tre posti è già a sole tre lunghezze di distacco. Ma per capire cosa stia accadendo bisogna rendersi innanzitutto conto che non esiste mai una sola causa a scatenare un disastro, ma che è spesso necessaria una catena causale di fattori. Cercheremo perciò di ripercorrere questa catena nella maniera più esaustiva e sintetica possibile per avere una panoramica chiara degli aspetti mentali, fisici e tattici che stanno conducendo il Sottomarino a un’allarmante immersione.

Come spesso accade quando una squadra finisce in una serie negativa, basta una sconfitta bruciante ad innescare un meccanismo per il quale il ripetersi di determinante condizioni favorisce la tendenza al fallimento. Ossia non vincere aiuta a non vincere, rinforzando ogni volta la paura di non riuscirci, la squadra finisce in una spirale di paura che si attiva quando i giocatori si rendono conto di non essere in vantaggio o non di non aver chiuso il match, e come una profezia che si autoavvera conduce la squadra al proprio fallimento. Sembra proprio questo quello che sta accadendo ai giocatori: dopo aver sfiorato il successo a Siviglia, hanno emotivamente accusato il colpo nel derby col Valencia, dominato sul piano territoriale ma umiliati nel risultato, perdendo fiducia nel gioco e crollando come un castello di carte alle prime avversità. Bisogna dire al riguardo che il Sottomarino dell’ammiraglio Marcelino si è sempre contraddistinto per due caratteristiche prospicienti: personalità sul piano del gioco e fragilità mentale sul piano caratteriale. Vale a dire, che se la squadra ha sempre mostrato intraprendenza tattica, dal possesso del pallone al controllo del campo, anche contro avversari più blasonati (vedi soprattutto le gare contro Atlético Madrid lo scorso anno, e contro Real Madrid e Valencia quest’anno), d’altro canto alle prime difficoltà non ha mai saputo reagire “da grande squadra”.

Dopo quasi due anni in cui il tecnico asturiano ha guidato il sommergibile groguet si possono probabilmente tracciare i primi verdetti, corredati da numeri. In queste prime undici giornate, considerando gli ultimi dieci minuti di gara, la sua ciurma ha perso sei punti (da 0-0 a 0-1 col Barcellona, da 0-1 a 2-1 col Siviglia, da 0-1 a 1-1 con l’Espanyol) e non ne ha recuperato nessuno. Ma un altro dato ancora più probante mostra questa mancanza di carattere che rischia di impedire a questo gruppo di poter eventualmente fare il salto di qualità: in ventritré gare di campionato (da quando c’è Marcelino allenatore) nelle quali il Villarreal ha subito la prima rete del match, sedici le ha poi perse, e sole tre sono state vinte in rimonta. Senza contare il fatto che contro le “grandi” si sgonfia puntualmente: lo scorso anno non ha vinto nemmeno una partita delle dieci giocate contro le prime cinque della classe, quest’anno ne ha già perse quattro su quattro.

Partendo dall’assunto che gli attuali problemi sono dettati da una situazione “fobica”, perciò di tipo psicologico, scatenati dalla scottante rimonta subita al Sanchez Pizjuán e alimentati dal modo in cui si è perso il derby (con un possesso del 63%), possiamo comunque comprendere che determinate condizioni sorgono da una pre-esistente fragilità mentale, messa a nudo da situazioni casuali. Ma queste situazioni sono state favorite da altri fattori minori, primo dei quali la condizione fisica. Ora, partendo dal presupposto che quando qualsiasi squadra non ingrani risultati, l’accusa di scarsa forma atletica è tanto tempestiva quanto generalizzata, bisogna riuscire a distinguere critiche standardizzate da critiche fondate. Criticare un gruppo di giocatori di mancanza di ossigeno partendo dal fatto che la squadra si rintani nella propria metacampo in alcune fasi di uno o più match è di per sé una conclusione affrettata. Anzi, il più delle volte un atteggiamento rinunciatario non è indizio di scarsa forma, bensì la più evidente conseguenza della paura di (ri)perdere. Quando una squadra precipita in una spirale di risultati fallimentari, si rinforza la paura del fallimento e si concretizza nei minuti finali delle partite (quando il triplice fischio si avvicina) creando la fallace illusione che sia un problema di tipo atletico. Questa polemica viene riaperta ogni anno e senza ulteriori indizi o dati più precisi sul tipo di preparazione estiva e/o del tipo di allenamenti infrasettimanali. Perciò l’ipotesi “fobica” resta la più accreditata, specialmente in questo caso visto che il Villarreal ha dimostrato in più occasioni di poter gestire la circolazione di palla per tutto l’incontro (pur perdendo di due gol di scarto) e di aver corso uguale o anche di più dell’avversario (dati in questo senso furono forniti dal massimo giornalista villarrealense Javi Mata, la settimana dopo Siviglia).

Quando si vuol fare un’accusa fondata bisognerebbe invece tirare in ballo gli infortuni. Già l’anno scorso si era avuto nel girone di ritorno un preoccupante contagio infortunistico che causò un calo di rendimento evidente, stavolta la carestia è iniziata sin dal principio: in circa due mesi e mezzo si sono già contati tredici bollettini medici, di cui addirittura nove di natura muscolare. L’operato dello staff medico, come si era già detto, è parso tutt’altro che lodevole: da quando Adolfo Muñoz è il nuovo medico sociale, vale a dire dal luglio 2013, l’infermeria è costantemente piena. E di questi nove infortuni muscolari ben due sono state ricadute su precedenti infortuni non ancora recuperati, chiedasi a Jaume Costa e Musacchio per informazioni, in particolare quest’ultimo ha già saltato cinque partite a causa di un reinserimento prematuro in squadra. La sfortuna, e questa volta è giusto nominarla, ha voluto che si concentrassero quasi esclusivamente sulla linea difensiva, in più di un’occasione infatti Marcelino si è ritrovato con un solo terzino disponibile sui quattro in rosa, il che l’ha costretto a dirottamenti di centrali sulla fascia o alla promozione di Adrián Marín, 17enne, alla prima squadra. Ma a proposito di condizione fisica è necessario sottolineare che, oltre all’assenza di Musacchio (che ha saltato le ultime cinque giornate di Liga), la fluidità di gioco sta risentendo dei pessimi stati di forma degli altri due perni della colonna vertebrale groguet, cioè di Cani a centrocampo e di Giovani in attacco. Le due fonti di gioco nelle rispettive zone del campo, fondamentali per la costruzione di uno stile di calcio basato sui passaggi, sono stati al centro del progetto della passata stagione e in questo inizio di campionato, anche a causa di piccoli infortuni fastidiosi, stanno trovando enormi difficoltà a replicarne le prestazioni.

Infine dal punto di vista tattico sono poche le defezioni dell’ammiraglio Marcelino, ma è necessario perderci qualche minuto. Il Villarreal spesso controlla la partita con un possesso palla avvolgente, come già accennato anche in gare dal risultato negativamente schiacciante, la manovra amarilla è comunque continua e martellante, e questo è un enorme esito e garanzia di basi solide. Il problema è che il meccanismo si sgretola in fase di finalizzazione, dopo una costruzione del gioco a tratti sistematica la mancanza di cinismo invalida tutto quel che di buono viene fatto, rendendo la circolazione spesso sterile. Se il problema degli attaccanti è un fattore rilevante (i capocannonierei Uche e Vietto sono fermi a quota tre reti, Moreno a una e Giovani addirittura a secco), la squadra non sopperisce a questo difetto in alcun modo, mostrando un Villarreal con grande personalità ma scarsa efficacia. Sicuramente con basi solide il gioco è destinato a fruttare alla lunga distanza, ma nell’ultima gara contro l’Espanyol Marcelino ha riassunto in novanta minuti come si possa pregiudicare una partita (e quindi un campionato) con scelte opportunistiche.

Il primo fatto saliente è stato notare che quando la fobia di perdere s’impadronisce dei giocatori anche lo stile della squadra inizia a venir meno, e infatti a fine gara il possesso dei periquitos è stato più che netto. Ma sicuramente la scelta di schierare Jonathan dos Santos esterno destro ha influito eccome: mettere un regista sulla fascia può avere le sue ragioni (aumentare la qualità del fraseggio a centrocampo), ma non in un contesto nel quale un gruppo è abituato a giocare in un altro modo da molti anni, e soprattutto con una prospiciente ala a fare tutt’un altro lavoro. Marcelino non è voluto passare al 4-3-3 con l’avanzamento di Chéryshev, ha continuato a chiedere i meccanismi difensivi del 4-4-2 con un giocatore fuori ruolo, e chiedendo al messicano movimenti autonomi in fase offensiva. Non più aggressione dello spazio e ricerca dell’uno contro uno, come spesso accade con Moi Gómez o Espinosa, piuttosto un’evoluzione del gioco di Cani ma con i tempi di Jonathan. Ossia poca mobilità senza palla, richiesta della sfera sui piedi e impostazione dalle retrovie, come ha bene funzionato in occasione della rete di Mario Gaspar. Una soluzione che ha funzionato sinceramente solo in quella circostanza, un regista sulla fascia ha un raggio di manovra di 90 gradi invece di 180, e l’unica possibilità di movimento in fase di non possesso si limita all’abbassamento di uno dei due attaccanti (Vietto domenica, ma volendo anche Giovani) che va a chiamare lo spazio per il suo spostamento sulla scacchiera. Rigorosamente spalle alla porta e in virtù di un gioco di sponda per l’inserimento di un centrocampista: peccato che l’unico giocatore di inserimento si trovi dall’altra parte del campo, e l’eventuale secondo sarebbe lui stesso. Piccola annotazione: con Jonathan esterno di centrocampo il Submarino amarillo ha segnato in totale quattro reti e subite sei.

Ma il suicidio tattico l’abbiamo avuto negli ultimi minuti quando il tecnico asturiano ha percepito la paura di perdere dei giocatori e invece di remare per il suo stile di gioco ha adottato una strategia arrivista inserendo il quarto centrocampista centrale, l’incontrista Tomás Pina, e passando al rombo per la prima volta nella sua era. Soluzione che non si era mai vista, e ci si chiede se sia mai stata provata in allenamento, fatto sta che con un Espanyol pericoloso sulle fasce (modellatosi al 4-3-3) si rinuncia alla difesa delle corsie laterali, creando un rombo che puntualmente si assottiglia e si sfalda come quando Pina e Trigueros, perni esterni del quadrilatero, sono costretti ad allargarsi per difendere una zona del campo in cui non sono abituati ad agire. Puntualmente arriva il pareggio e si allunga la striscia negativa a quattro gare senza vittorie (era successo solo una volta con Marcelino sulla panchina, a marzo scorso).

Questo più o meno è il quadro della cause concatenanti che hanno portato il Sottomarino giallo a perdere la propria identità ritrovandosi già a -6 da un Málaga che si apprestava a lottare per non rimanere invischiato nella lotta per la salvezza. Mai la pausa fu più necessaria. Adesso bisogna riunirsi intorno a un tavolo e ricominciare daccapo, riazzerare l’ansia da prestazione e la smania di dimostrare qualcosa, motivare i giocatori che stanno rendendo al di sotto delle aspettative, esigere un disegno tattico preciso e riacquistare la sicurezza nei propri mezzi con l’impegno e il lavoro duro. La stagione può cambiare con un filotto positivo, in Europa si può riaggiustare tutto in novanta minuti, in campionato Getafe e Córdoba sono le avversarie giuste per ricominciare a correre e poi la sfida contro l’Atlético Madrid può essere l’occasione buona per infuocare le ambizioni del gruppo con uno scalpo di prestigio. Ma non si va da nessuna parte senza l’umiltà e la coerenza.

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Mi chiamo Mihai Vidroiu, ma per tutti sono semplicemente Michele, sono cresciuto a Roma, sponda giallorossa. Ho inoltre una passione smodata per il Villarreal, di cui credo di poter definirmi il maggior esperto in Italia, e più in generale per il calcio, oltre ad altri mille interessi.

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